IL RITRATTO PER
«CONTRAFARE BENE EL NATURALE»

L’ultimo atto della vita del padre di Raffaello pareva volergli offrire quel riconoscimento “internazionale” presso le corti italiane che aspettava da tempo.

Invece, si rivelò uno scherzo del destino. A Giovanni Santi era stato chiesto di eseguire il ritratto di Isabella d’Este, marchesa di Mantova, di realizzarne un altro al vescovo della città Ludovico Gonzaga, zio del marchese, e certo ne avrebbe dipinto un terzo per lo stesso Francesco II se non fosse stato costretto a tornare a Urbino per motivi di salute. Giunto in città nel luglio del 1494, dopo aver fatto testamento, rese l’anima a Dio il successivo 1° agosto e fu sepolto nella chiesa di San Francesco(2). Saputa la triste notizia, i Gonzaga non si rassegnarono alla perdita delle opere e il 3 ottobre 1494 il marchese Francesco scrisse a Elisabetta Gonzaga, sua sorella e duchessa di Urbino, chiedendole di recuperarli e inviarli, in ogni caso, nonostante non fossero stati ultimati, perché l’intervento finale poteva essere concluso nella città lombarda. «Quando Zohanne de Santo fu qua et che lì che era anchora la S. V. lui tolse impresa di alchuni retracti in certi tondi come forsi la d.ta S. V. può sapere. El perché se non sono finiti non li è più speranza che sua mano siano per terminarsi essendo sequita la sua morte, dicio el presente cavalaro a la S.V. per la quale la prego me vogli mandare quelli che esso Zohanne haveva lavorati, finiti o no che siano, perché farò suplire io qua al mancamento»(3). Il cavallaro inviato con la lettera e con l’ordine di recuperare i dipinti attese invano e le opere furono perdute per sempre. Naturalmente, al di là della legittima volontà di recuperare i propri beni, emergeva un implicito attestato di stima che, spiega Ranieri Varese - fra gli studiosi che hanno rivalutato la figura di Giovanni Santi, con una magistrale monografia cui si rimanda per approfondimenti -, riguardava pure l’attività letteraria del pittore. Pertanto, lungi dall’essere quella figura mediocre che la critica ingenerosa, da Vasari in avanti, aveva creduto di scorgere, l’artista di Colbordolo va considerato «il primo pittore urbinate, frutto della cultura federiciana, ma anche ad essa partecipe»(4). In altre parole, era lui la sintesi più completa e felice degli ideali artistici e culturali di Federico da Montefeltro; ideali che aveva contribuito a forgiare e dei quali, in quanto urbinate (sia pure acquisito), era il più alto esponente.