La popolarità di Vincent van Gogh è talmente radicata, globale e persistente che musei, luoghi e istituzioni dedicati al suo nome avrebbero potuto tranquillamente trascurare l’organizzazione di particolari iniziative nel centoventicinquesimo anno dalla morte del pittore (1853-1890). E più sereno di tutti avrebbe potuto riposare il museo di Amsterdam che dall’artista prende il nome, forte del milione e seicentomila visitatori che ha ospitato nel 2014 (il 10% più dell’anno precedente nonostante importanti lavori in corso); visitatori per la maggior parte olandesi (17%), ma immediatamente dopo italiani (12%) e a seguire francesi (10%), statunitensi (9%) e britannici (8%). Sta di fatto che dal 28 novembre dello scorso anno il Van Gogh Museum ha invece inaugurato un riallestimento radicale della propria linea espositiva.
Il nuovo museo non è più una semplice (si fa per dire...) parata di settecentosettanta capolavori di Van Gogh organizzata per temi o periodi; è certamente anche questo, ma è anche qualcosa di più: un tentativo di restituire la vita, il contesto, il personaggio, l’anima dell’artista nella loro complessità e completezza; soprattutto un tentativo di mostrare in che modo Van Gogh diventa Van Gogh, nella sua vicenda personale e artistica e nell’immaginario pubblico. Un risultato perseguito attraverso una nuova e attenta ricollocazione dei dipinti per gruppi; il loro collegamento diretto e immediato con disegni, fotografie, oggetti, lettere e documenti; l’evidenziazione dei rapporti di scambio con altri artisti; l’installazione di postazioni interattive sobriamente ma efficacemente distribuite nelle sale: ambienti ariosi tutti distinti da colori diversi, spesso vivaci, scelti in relazione ai quadri stessi o al periodo in esame.
