Ecco per esempio in tale ambito un tema dei più tipici e celebri, Il seminatore, 1850, Boston, Museum of Fine Arts, in cui la figura campeggia nel vuoto, da attore esclusivo, anche se non si è ancora sbarazzato del tutto da un accompagnamento del suolo, cui non manca di rivolgere la sua azione, con gesto ampio, quasi ad abbracciare in circolo il terreno circostante. Inoltre, per ribadire che sarebbe vano voler attribuire una qualche individualità a una apparizione destinata a rimanere anonima, il volto è coperto, quasi nascosto da un ampio berretto. Da notare anche i grossolani calzettoni, col loro motivo a “barre” orizzontali, quasi per consentire un minimo di rilievo al personaggio umano, così come si segnalerebbe un qualche sbarramento nel traffico. Sia ben chiaro che non sempre i protagonisti di questo universo di miseria e sofferenza sono chiamati in scena a giganteggiare uno per volta. In altri casi l’artista ne evoca una folla, purché ognuno dei componenti resti immerso in una prevalente anonimia, racchiuso entro un profilo ovoidale, oblungo, che si reitera monotono per ogni membro di quel consorzio. Del resto non risultano troppo dissimili gli altri esseri viventi che spesso vengono associati, le pecore soprattutto, anch’esse concepite come dei teneri fagotti, come esistenze ferme a uno stadio di sviluppo anteriore a quello degli umani (Il pasto dei mietitori, Boston, Museum of Fine Arts).
