GLI ULTIMI ANNI:
LE REPLICHE, LA FOTOGRAFIA
E LA FORTUNA CRITICA

Con il sorgere delle avanguardie, si sviluppa in Europa una vera e propria rivoluzione in tutte le arti. Medardo Rosso intraprende invece un percorso che lo vede ripiegarsi in una riflessione personale sulla propria produzione, sui modi d’intendere e vedere l’oggetto scultoreo elaborato nel corso dei vent’anni precedenti.

Si dedica a una sorta di processo di autoanalisi, una rivisitazione critica e storica del proprio lavoro servendosi di diversi strumenti: in primo luogo, le repliche dei soggetti eseguiti in passato, poi attraverso un’esposizione teorica delle sue idee sulla scultura, infine una produzione grafica e soprattutto fotografica, metodo complementare e vera innovazione d’indagine sulla sua opera.

Dopo Ecce puer (1906) Rosso non produsse più opere originali, dedicandosi esclusivamente all’esecuzione di repliche di soggetti già eseguiti che si presentano differenti rispetto agli originali. «Il “nuovo” che di volta in volta appare è qui l’originario, non l’inedito: da un materiale all’altro, l’opera si offre come ri-attualizzazione, nella sapienza che il linguaggio orchestra con il caso, di un’impronta assunta una volta per tutte come matrice»(19). È nel particolare metodo di lavorazione della sua Ciò avviene per esempio nel Birichino (o Gavroche), realizzato in diverse varianti. Dal primo modello in gesso del 1882 alla quarta variante in bronzo del 1902-1905 si verifica un vero e proprio processo di sottrazione: del Birichino rimane solo il volto, come fosse una maschera, dal momento che nelle sue trasformazioni la figura perde il busto, il collo e la nuca.

In definitiva, Rosso attraverso le repliche non fissa una forma, un’idea, ma al contrario la libera, espandendo il ciclo esistenziale dell’opera, nella decisa negazione di valori eterni. Rosso ha scritto molto attraverso le lettere agli amici e in occasione d’interviste, articoli di giornali, saggi e cataloghi. Nel loro insieme le sue esternazioni costituiscono un “corpus” di pensiero che non ha subito cambiamenti col passare del tempo: molte delle sue espressioni più tipiche, come «nulla è materiale nello spazio», «chi largamente vede, largamente pensa», «il bello scrivere è il contrario del bel pensare » ritornano spesso nei suoi scritti. Il linguaggio adottato è libero, spontaneo, colloquiale e assomiglia molto a quello parlato tanto per la mescolanza tra i vari dialetti milanese, torinese e lingua francese, quanto per il suo esprimersi per immagini, ovvero evocando piuttosto che affermando.