Già dalla seconda metà del XIX secolo, nell’ambiente parigino, il mito dell’esotismo, tra sogno e realtà, aveva ispirato un’intensa produzione artistica e letteraria. Un immaginario complesso, in cui il concetto stesso d’Oriente travalicava i confini geografici dell’Asia per abbracciare un più vasto territorio culturale. Un fenomeno che aveva favorito non soltanto la curiosità del grande pubblico - estasiato dinanzi alle fantasmagoriche installazioni d’arte orientale alle grandi esposizioni universali - ma anche una vera e propria “invasione” di opere orientali nei più importanti musei d’Europa.
È in questo clima che Matisse inizia ad avvicinarsi ai linguaggi artistici di terre lontane ed esotiche.
Già ai tempi in cui era ancora studente di Gustave Moreau, Matisse alternava alle visite al Louvre, per studiare l’arte dei “primitivi” e dei maestri del Rinascimento, le assidue frequentazioni del museo etnografico del vecchio Trocadéro e del Musée des Arts Décoratifs. All’apprendimento dei modi e delle tecniche dell’arte classica, si unisce l’intuizione di nuovi orizzonti. Continuare nel segno della tradizione in un’epoca di rivoluzioni formali e sintattiche diventa, infatti, per Matisse un esercizio sterile e poco stimolante.
