Studi e riscoperte.
I bronzetti di Giambologna

originali
repliche e varianti

Un periodo davvero felice per la produzione di piccole sculture in bronzo è il XVI secolo. In particolare, attivissime sono le botteghe fiorentine che gravitano attorno a Giambologna e alla corte medicea. Uno dei massimi studiosi di questo genere artistico ci spiega qui l’importanza dell’analisi tecnica dei singoli bronzetti ai fini dell’individuazione del loro grado di originalità.

Manfred Leithe-Jasper

La quantità di repliche e varianti delle invenzioni di Giambologna è una delle caratteristiche del suo corpus cospicuo di sculture di piccole dimensioni. Dalla sua bottega uscivano infatti repliche delle sue opere non solo numerose, ma spesso anche di altissima qualità. La circostanza merita qualche riflessione. In primo luogo le opere in questione sono quasi tutte in bronzo, perlopiù statuette: gli esemplari realizzati in cera o in terracotta servivano infatti esclusivamente alla preparazione di questi getti. La tecnica della fusione in bronzo permette la riproducibilità di un modello ed è proprio grazie a questa possibilità che, dal tardo Quattrocento in poi, questa pratica artistica fu particolarmente apprezzata. 

Com’è noto il fiammingo Giambologna (Jean de Boulogne, 1529-1608) visse a lungo a Firenze, dove era lo scultore di corte dei Medici: i suoi mecenati avevano molto presto capito, già a partire dal 1564, che le opere d’arte, specialmente quelle riproducibili in poco tempo, erano doni diplomatici ideali. Così per esempio, il granduca Cosimo I e il figlio Francesco fecero consegnare all’imperatore Massimiliano II tre bronzi di Giambologna, ovvero il Mercurio a grandezza naturale, una statuetta di Venere (identica a quella firmata dall’artista, oggi custodita al Kunsthistorisches Museum a Vienna) e un rilievo di bronzo con l’Allegoria di Francesco de’ Medici.


Giambologna, Mercurio volante (1587), Dresda, Grünes Gewölbe.