Le loro opere, infatti, esemplificano alla perfezione - con uno stile freddamente fotografico - i caratteri più tipici della tendenza, sintetizzati dai disegni di Heine e di Danksin nel contrasto, e al tempo stesso attrazione, tra la carne e le sue pulsioni, anche profonde, e il ferro come emblema della modernità e delle sue durezze, reali e metaforiche.
La carne è un leitmotiv della pittura di Schad, che rappresenta corpi nudi o appena velati (Autoritratto del 1927), sfrontatamente svelati
nell’autoerotismo (Deux filles, 1928), deformi (Agosta l’uomo pollo e Rasha la colomba nera, 1929), meravigliosamente istoriati (Ritratto di Egon Erwin Kisch, 1928), aperti dai ferri di chirurghi (Operazione, 1929); mentre il ferro governa la produzione grafica e pittorica di
Grossberg, un artista le cui opere ruotano quasi esclusivamente intorno alla nuova bellezza evocata dalle lisce metallicità delle architetture
industriali e razionali e delle macchine in esse contenute. Schad e Grossberg - che non parteciparono, però, alla storica mostra di Mannheim - si
concentrano ciascuno su un aspetto di quei leitmotiv che ebbero una loro prima efficace espressione in un quadro di Georg Scholz intitolato, appunto,
Carne e ferro, dove compaiono due nudi femminili, d’impronta vagamente rinascimentale, che in uno strano interno industriale dialogano con una
grande turbina.
Può risultare incongrua la contaminazione di un’atmosfera di modernità spinta con una maniera pittorica che esplicitamente dichiara la propria matrice
rinascimentale tedesca. È tuttavia quanto si avverte, tra gli altri, in un ancora più influente pittore dell’ala sinistra della Nuova oggettività quale
era Dix.