La ricorrenza del centenario del primo conflitto mondiale ha innescato una puntigliosa analisi sul fenomeno in senso lato. La guerra non solo è stata messa sotto la lente d’ingrandimento dalle istituzioni ma è divenuta anche soggetto di convegni e mostre che, benché costruite con tagli differenti, convergevano sovente sul medesimo disarmante quesito: perché l’uomo non può impedirsi di fare la guerra? Come le facce della stessa medaglia, la guerra è atroce e abominevole ma è anche un evento intrinsecamente legato alla natura umana. Che sia mossa da ragioni “di Stato” legate al patriottismo e alla difesa di un territorio o a un ideale, la battaglia rievoca anche una violenza ancestrale che provoca un’emozione intensa al punto di rappresentare, in casi estremi, una vera attrazione; perché «costruire è bello ma distruggere è sublime», come avrebbe ammesso il generale americano George S. Patton nelle sue memorie della seconda guerra mondiale (1947).