albert Speer per la Germania, Boris Iofan per l’Unione Sovietica e Josep Lluís Sert per la Spagna, i più grandi architetti del momento, furono chiamati per l’Exposition Internationale des Arts et des Techniques dans la Vie Moderne del 1937 di Parigi a rivendicare l’identità, ciascuno del proprio paese, attraverso il linguaggio dell’architettura. Si trovarono così, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, a competere con le proprie creazioni, come in un concorso di architettura.
Il risultato di questa “gara”, nata sotto gli auspici della pace, fu un’architettura che, investita del compito di essere espressione del potere politico del paese da rappresentare, ritornava alle regole accademiche, alla tradizione “Beaux-Arts” e neoclassica e, nella ricerca di una nuova monumentalità, faceva ricomparire in facciata frontoni e colonnati, e scomparire cemento e acciaio, perché considerati materiali meno nobili del marmo e del travertino.Incarnando le ideologie politiche dei paesi partecipanti, l’architettura diventava riflesso delle tensioni nazionali.
Emblematico fu, in tal senso, lo scontro metaforico tra i padiglioni della Russia di Stalin e della Germania di Hitler, collocati l’uno di fronte all’altro ai margini dell’asse principale che conduceva alla collina di Chaillot. Tra loro, il contrasto fu evidente.
A Boris Iofan era stato chiesto di pensare a un’architettura che fosse autoreferenziale per la Russia. Il progetto realizzato risentì dell’influenza del concorso di qualche anno prima per il Palazzo dei soviet: un imponente gruppo scultoreo in acciaio, realizzato dalla scultrice Vera Mukhina, rappresentava una kolchoziana e un operaio che innalzavano una falce e un martello avanzando con fierezza verso il padiglione della Germania. Il valore era fortemente simbolico: falce e martello, emblema del movimento operaio, significavano la fiducia nel socialismo.
