ugo Celada da Virgilio ti prende e non ti lascia più.
Cosa mi piace? La sua modestia. La capacità di
utilizzare la pittura come un linguaggio muto che trasforma la forma in messaggio, la rarefazione in sostanza. Mi spiego meglio. Celada ha la
capacità di bloccare, nel tempo e nello spazio, la realtà, in maniera apparentemente distaccata e scientificamente esatta (colore, riflessi,
trasparenze), ma comunicando, al contrario, grande pathos. Elementi che si rilevano nei suoi ritratti ieratici, nei nudi, nelle nature morte. Come
nella natura morta degli anni Trenta che presentiamo in queste pagine, con quel riflesso rosso rubino che ipnotizza, che unisce elementi
contrapposti, dando vita a una struttura a X, nella tensione tra colori caldi e freddi, nel contrasto tra vita a morte. In questo senso (anzi,
coinvolgendo tutti i sensi) Ugo Celada rappresenta il punto di congiunzione tra Metafisica, Realismo magico, Nuova oggettività, Novecento.
Movimenti distanti fra loro ma che in lui si completano. Ogni sua opera diviene così un quadro dipinto a più mani, dove ritrovi le suggestioni di
Cagnaccio di San Pietro e Donghi, il silenzio di de Chirico, il cinismo dei maestri della Neue Sachlichkeit. Il tutto, mentre sorseggi un karkadè e
ascolti una pagina di Bontempelli.
Un’identità anomala, come spesso accade in Italia, penalizzata e poco presente nella storia dell’arte
divulgata, nonostante le belle mostre tenutesi alla Rotonda della Besana e a Palazzo reale a Milano nel 2005, che mi fecero scoprire l’autore.
Nato nel 1895 a Cerese di Virgilio (Mantova), da cui l’aggiunta al nome del toponimo - quasi a volersi identificare in un maestro antico -, a
undici anni s’iscrive alla Scuola di arti e mestieri di Luzzara (Reggio Emilia), ma solo grazie a una borsa di studio potrà in seguito entrare
all’Accademia di Brera di Milano.
Nel 1914 abbandona gli studi e si arruola come volontario. Tornato dalla guerra si trasferisce prima a
Genova e poi a Parigi, dove assimilerà correnti e suggestioni europee.
Nel 1920 partecipa alla 12a Esposizione internazionale d’arte di
Venezia e nell’edizione del 1926 la sua opera si impone alla critica grazie al giudizio di Emile Bernard (pittore e biografo di Cézanne) che lo
segnala come unico tra gli italiani partecipanti, scatenando l’invidia tra i colleghi.
È invitato alla Quadriennale di Torino del 1928 e alla
Permanente di Milano, ma nel 1931 rompe con gli ambienti ufficiali. Firma un manifesto antinovecentista e attacca il monopolio della cultura di
regime: non sarà più invitato alle esposizioni pubbliche, divenendo, nei fatti, uno dei pochi artisti di successo a non compromettersi con il
fascismo.
A partire da allora Ugo Celada esce di scena, vivendo grazie alle commesse della borghesia lombarda, realizzando anche qualche
ritratto di troppo. Il suo studio milanese in piazza 5 Giornate viene distrutto da un bombardamento nel 1943, e con esso molte delle sue opere. Si
trasferisce quindi con la famiglia a Varese dove fonda il Movimento dei pittori oggettivisti e dove continuerà a operare in un defilato riserbo
provinciale. Muore, centenario, nel 1995, ma le sue ultime opere risalgono agli inizi degli anni Settanta.

