sin dalla loro fortuita scoperta - Ercolano nel 1738, Pompei nel 1748 - le città sepolte dall’eruzione del
Vesuvio del 79 d.C. hanno attratto artisti, eruditi e “connoisseurs”, rivoluzionando non solo la scienza antiquaria, ma anche la cultura e la vita
dei moderni. A questo proposito Scipione Maffei, raffinato intellettuale veneto, fondatore del museo epigrafico che porta il suo nome a Verona,
preconizzava nel 1747 il folgorante richiamo che il sito archeologico avrebbe costituito per l’Europa: «O qual grande ventura de’ nostri giorni è
mai, che si discopra non uno ed altro antico monumento, ma una città»(*). Sigillate dalla lava e dai lapilli, le antiche metropoli e la
loro ricca messe di reperti e di affreschi, dagli inediti accordi cromatici, accesi e perfettamente conservati, restituivano con immediatezza il
mondo che le aveva create. Dissepolte e divulgate dalle raffinate incisioni per i volumi delle Antichità di Ercolano esposte, edite fra il
1757 e il 1792, le antichità vesuviane divennero le principali fonti d’ispirazione per un ritorno all’antico che influenzò le arti figurative,
l’ornato e i modelli architettonici europei. Un esempio emblematico è la fortuna iconografica della Venditrice di amori, dalla Villa di
Arianna a Stabia. Il successo della scena dipinta fu tale che l’intera villa venne originariamente chiamata Villa della Venditrice di amori.
L’affresco è stato oggetto d’innumerevoli imitazioni: tra le più note vanno annoverate le opere di Joseph- Marie Vien, Henry Füseli, Antonio Canova,
Berthel Thorvaldsen, Christian Gottfried Jüchtzer, che ne realizzò una copia in porcellana.
A Pompei passato e presente coesistono,
ispirando letteratura, poesia, pittura, musica e teatro.
Oltre ai temi decorativi, va segnalata l’attenzione al paesaggio pompeiano, dove le rovine emergono poco a poco da una terra incantata.
All’immagine reale si affianca fra Settecento e Ottocento una visione sublime dell’eruzione del 79 d.C. che influenza profondamente la sensibilità
romantica. Lo conferma il confronto fra la delicata Veduta del Foro di Achille- Etna Michallon del 1819 e la drammatica evocazione della
morte di Plinio il Vecchio esposta al Salon del 1813 dal suo maestro, Pierre-Henri de Valenciennes, capofila del paesaggio neoclassico francese.
Evocando il golfo di Napoli, con il profilo di Capri sullo sfondo, Paul Delaroche mette in scena le suggestioni di un mondo ideale nel suo
straordinario dipinto del 1845 che rappresenta una giovane donna distesa in un “labrum” (una vasca da giardino) pompeiano. Il dipinto, rimasto
incompiuto per la prostrazione vissuta dal pittore in seguito alla morte della moglie, deve essere ricollegato al mito di Orfeo, incapace di
ricondurre Euridice dagli inferi nel regno dei vivi, come suggerisce la lira disposta a terra. A Pompei passato e presente coesistono, ispirando
letteratura, poesia, pittura, musica e teatro. Gli scavi restituiscono infatti una grande quantità di materiale che catalizza l’attenzione europea,
come testimonia Giacomo Leopardi nel suo ultimo canto La ginestra del 1836: «Torna al celeste raggio \ Dopo l’antica obblivion l’estinta \ Pompei,
come sepolto \ Scheletro, cui di terra \ Avarizia o pietà rende all’aperto». Il poeta descrive i ruderi pompeiani come simboli della fragile pretesa
umana dell’eternità davanti all’indomita potenza dello «sterminator Vesevo».
Nel Museo archeologico di Napoli gli artisti hanno modo di
studiare i modelli classici: Charles-Octave Blanchard replica fra il 1837 e il 1841 la figura di Cerere dall’affresco di Ercole e Telefo,
dalla basilica di Ercolano; Jules Lenepveu riproduce nel 1847 la coppia di fauno e baccante in volo dalla Casa delle Nozze d’argento; Gustave
Moreau, nel 1859, copia gli affreschi Achille e Briseide, dalla Casa del Poeta tragico, e Achille e Chirone dalla basilica di
Ercolano.
A partire dal 1860, nell’Italia unificata, il nuovo sovrano Vittorio Emanuele II e il suo ministro Cavour vollero dare un indirizzo
razionale agli scavi. Giuseppe Fiorelli, nominato direttore nel 1861, apre al pubblico il parco archeologico, partecipando alla straordinaria
fortuna dei siti vesuviani. Accanto all’evocazione quasi spettrale della città sepolta, si fa strada l’immagine di una Pompei “moderna” che
influenza l’orientamento dell’arte europea: non più l’evocazione della sua tragica fine, ma della sua intrepida riscoperta. Il popolo di operai
intenti a scavare, le giovani donne con i cesti sul capo per il trasporto dei materiali, ritratte da Filippo Palizzi nel 1865, si contrappongono
all’immagine degli infelici abitanti antichi, dipinti da Alfred de Curzon nel 1866; i loro corpi, sorpresi dalla morte, ritrovavano consistenza
fisica grazie alla tecnica del calco messa a punto dal soprintendente.
La conoscenza delle antichità vesuviane ha stimolato inoltre la
creatività degli architetti che fra Ottocento e Novecento visitavano Pompei. Dai Prix de Rome francesi agli architetti dell’Europa del Nord, fino a
Le Corbusier, le rovine sepolte dal Vesuvio hanno offerto un’inesauribile fonte d’ispirazione. Si pensi ai temi legati alla policromia
architettonica e ai decori dipinti, o alle forme specifiche delle “domus” antiche, imprescindibile punto di partenza nello studio per una nuova
domesticità.
hanno visitato gli scavi
La moltiplicazione delle campagne fotografiche costituisce inoltre un profondo cambiamento di questi anni: gli scatti di Alfonse Bernoud, Giorgio Sommer, Michele Amodio, Robert Rive e Achille Mauri registrano e diffondono nel mondo lo stato di avanzamento dei lavori di scavo.
Gli artisti del XX secolo hanno dedicato a Pompei una lunga riflessione. L’antico sembra rivivere nelle opere dagli artisti che hanno visitato gli scavi: si pensi al giovane Paul Klee, che visita le rovine nella primavera del 1902, a Pablo Picasso, negli scavi in compagnia di Jean Cocteau nel 1917, a Mario Sironi, Achille Funi, Giorgio de Chirico e Arturo Martini, che fra il 1920 e il 1940 si avvicendano nel sito, capace di accendere l’entusiasmo per un’antichità nella quale l’eterno ha il sapore del mito.
Pompei è parte integrante della storia mondiale che della meditazione sull’antico ha fatto il baricentro del pensiero moderno. Restituirne la storia e il suo irraggiamento culturale è il fine della mostra Pompei e l’Europa che analizza la suggestione operata dal sito dall’inizio degli scavi nel 1748 al drammatico bombardamento del 1943. Il confronto fra reperti antichi e opere moderne rende esplicita l’influenza della classicità sugli sviluppi dell’arte e dell’estetica moderna, fra emulazione e reinterpretazione.




