tutto inizia con il Caracas(1), il vascello portoghese partito dall’Asia in direzione Lisbona; o
meglio, con il suo arrembaggio, nel 1603, da parte degli olandesi che, impegnati nella guerra contro gli spagnoli, vedevano nei loro alleati
lusitani dei nemici. La nave depredata nascondeva un piccolo tesoro: finissima porcellana cinese dalle decorazioni pregevoli e soprattutto dalla
struttura leggerissima, dalla materia quasi trasparente, che affascina subito gli olandesi. L’articolo ha un enorme successo di mercato: di
altissimo pregio e di altrettanto alto prezzo, diviene ben presto un oggetto simbolo di status sociale, unendo alle ricercate caratteristiche anche
la difficoltà di reperimento e quel gusto esotico amato dalla vita di corte. Nei Paesi Bassi spopola immediatamente: la Compagnia delle Indie (VOC)
viene letteralmente sommersa di commissioni.
La moda impera non solo presso la piccola corte dello statolder che governa la giovane
repubblica, ma anche presso il ricco patriziato mercantile di Amsterdam che amava arredare i propri “panden”, le case dalle caratteristiche facciate
sui canali della città, con un gusto ricco e spesso ridondante. A metà del Seicento una delle mode locali in fatto di arredo diviene proprio quella
di dedicare una sala all’esposizione della porcellana che arrivava a coprire pareti intere oltre che scansie, angoliere ed etagère.
La differenza fondamentale tra la porcellana cinese
e quella di Delft è nel materiale
Non è però un caso che la produzione di questa porcellana finisca per installarsi proprio a Delft, cittadina che viveva in quel periodo una situazione particolare. Con la Riforma calvinista alla fine del XVI secolo e la conseguente drastica diminuzione del consumo dell’alcol, molti birrifici della città erano falliti; le fabbriche erano quindi state occupate dai “plateelbakkers”, i ceramisti di piatti e vasi (da distinguere da quelli che producevano piastrelle) provenienti dalle Fiandre dopo la caduta di Anversa in mano spagnola e il blocco del suo porto nel 1585. Questi fiamminghi che già lavoravano manufatti decorati con fiori e animali, ispirati dalla popolarità della maiolica italiana e spagnola, gettano le basi del “Blu di Delft” influenzati, a partire dal 1603, proprio dagli esempi di produzione cinese. Ma attenzione: il termine “porceleyn” usato all’epoca potremmo definirlo un appellativo di marketing. Infatti il tentativo di imitare la porcellana cinese si scontra subito con la difficoltà di reperimento del suo elemento principale: il caolino, di cui la l’argilla cinese era ricchissima, ma che all’epoca era introvabile in Europa. Ancora prima della decorazione, la differenza fondamentale tra la porcellana cinese e quella di Delft è quindi nel materiale: gli olandesi che posseggono solo argilla rossa devono verniciare l’oggetto con uno smalto bianco a base di stagno (poi piombo) capace di coprire il colore della base, a scapito però della finezza del manufatto.
Porcellana, maiolica, faïence: i termini continueranno a succedersi in base alle innovazioni tecniche di lavorazione introdotte nel corso del secolo. La principale è sicuramente la decisione di introdurre la marna (o galestro), una roccia molto dura che però bagnata diventava un fango liquido, per riacquistare poi la sua solidità nella cottura nel forno. Questo accorgimento non solo rende il manufatto più fine e muta la ceramica in faïence, ma crea anche un nuovo metodo di lavorazione: parallelamente alla classica produzione su tornio, si cominciano a usare stampi di gesso dove l’argilla liquefatta secca più velocemente all’esterno consentendo di creare più facilmente un oggetto cavo. Dopo la prima cottura la vernice bianca copre il manufatto e su questa si esegue poi la decorazione in nero; l’ossido di cobalto che costituisce questa colorazione, a contatto con lo smalto durante la seconda cottura crea una reazione chimica e cambia il suo colore in blu: la “Chine de commande” (porcellana prodotta in Cina solo per l’esportazione) non è più indispensabile, sta nascendo il Delfts Blauw, completamente “made in Holland”.
diviene proprio quella di dedicare una sala all’esposizione della porcellana
All’inizio del XVII secolo è lo stile Wanli (dal nome dell’imperatore della dinastia Ming che regna in Cina dal 1572 al 1620) la fonte d’ispirazione: la decorazione dei manufatti mantiene spesso la suddivisione in sei o otto pannelli, come pure il tema della pèsca, in Oriente simbolo di lunga vita e in Olanda trasformato nell’arancia degli Orange-Nassau (il casato degli statolder), e infine gli involuti nastri ma senza più i simboli taoisti che li ornavano.
Nella seconda metà del secolo lo stile di Transizione apporta lievi modifiche di cui forse la più significativa è l’introduzione del tappo ai “kendi”, i tipici vasi-bottiglia cinesi che per tradizione e uso non ne necessitavano. Il terzo stile, detto Kangxi dal nome del secondo imperatore della dinastia Qing, coincide con il periodo del suo regno (1662-1722) ed è spesso caratterizzato dalla presenza nella decorazione della “Long Eliza”, una longilinea ed elegante dama orientale a volte raffigurata con bambini o intenta ad annaffiare piante esotiche.
Tra i tanti decoratori, nomi celebri furono Jan van de Velde II, o Veldius (1593-1641), Johannes Visscher (1633-1692) e Cornelis Boumeester (1652-1733), spesso influenzati dagli artisti della scuola pittorica di Delft, che si dedicarono a un’attività che presupponeva uno studio di sei anni e un esame finale con l’iscrizione alla gilda di San Luca, la corporazione di cui diventerà dapprima membro e poi capo, rispettivamente nel 1653 e 1662, Johannes Vermeer.
Anche la varietà di manufatti si amplia adattandosi alle esigenze della vita europea: violini, spazzole, candelabri, tulipaniere anche a innumerevoli livelli smontabili (famose le due di oltre un metro di altezza ordinate nel 1689 dalla coppia reale costituita da Guglielmo III - lo statolder che diviene anche re d’Inghilterra in quel 1689 - e dalla consorte Maria Stuart), addirittura gabbie per uccelli esotici.
Naturalmente le due produzioni, quella olandese e quella importata dalla Cina, continuano a convivere in maniera parallela, come testimonia Cosimo III de’ Medici (1642-1723) che, stupito, scriverà nel suo diario di viaggio che nella sua visita a Delft aveva visto vendere dagli stessi commercianti i due tipi di manufatti anche se la differenza di prezzo era, negli anni Sessanta, ancora significativa, essendo quella olandese un decimo rispetto a quella importata. Ma quando nel 1685, a causa di problemi politici interni, l’esportazione cinese stagnerà, Delft, con trentatre fabbriche, alcune anche con tre forni, sarà in grado di offrire un prodotto di ottima qualità ambito anche dalle corti europee. Un esempio fu proprio il servizio commissionato dal grande elettore del Brandeburgo, Federico III (1657-1713), in occasione della sua incoronazione, nel 1701, al trono prussiano, sebbene Berlino avesse ormai la propria fabbrica e ci fosse un divieto ufficiale di importare manufatti da Delft. Ma non è più il classico blu: la corte prussiana commissiona un servizio nel nuovo stile Kakiemon(2), policromo con orlo marrone, che insieme all’Imari(3) (rosso, oro, blu) è ispirato alla porcellana del Giappone, nuovo partner commerciale della VOC.
L’Olanda è ora spinta a diversificare la propria produzione proprio dal successo dei manufatti della prima porcellana europea, nella tedesca Meissen. A queste nuove varianti si andranno ad aggiungere quelle ispirate agli oggetti in lacca rossa o nera, tipiche dell’Oriente, che i vasai di Delft riuscivano a imitare grazie a difficili e complicate innovazioni tecniche. Mentre le varie tipologie policrome saranno presenti durante tutto il XVIII secolo, la classica maiolica bianca e blu, pur entrando in una fase di lento declino a partire dal 1720, sarà l’unica a continuare a essere prodotta fino ai nostri giorni, sostanzialmente invariata nelle tipologie e nella decorazione, grazie a un paio di manifatture di cui una sola, la Royal Porceleyne Fles, ininterrottamente dal XVII secolo.
Nel XIX secolo, quindi, Delft presenta una sola fabbrica ma nel 1876 l’industria della ceramica, grazie anche ai sentimenti nazionalistici del periodo, subirà una breve ripresa. Theodor Colenbrander (1841-1930), in origine architetto, introduce nuove forme, robuste ed eleganti, e un tocco di stravagante colore che, in prima istanza, attira l’attenzione del mercato. I suoi disegni sono del tutto nuovi, ispirati ai fenomeni della natura ma così stilizzati da sembrare quasi astratti. I motivi, distribuiti sulla superficie in maniera apparentemente casuale, venivano corredati di un titolo, proprio come fossero quadri, con riferimento alla loro fonte di ispirazione: Fiore di melo, Pioggia d’oro, Ragnatela, Motivo blu, Firmamento e Primavera sono solo alcuni di quei titoli. Nel periodo in cui il gusto generale del mercato andava al classico Blu Delft o al nuovo Jugendstil, Colenbrander sviluppa un proprio stile, molto ammirato dagli artisti della scuola dell’Aja ma che purtroppo non incontra i gusti del largo pubblico. Questa è la ragione per cui il decoratore verrà licenziato nel 1889 mentre la fabbrica svilupperà la tecnica “a guscio d’uovo” che permetterà manufatti finissimi in porcellana con una decorazione che aderirà perfettamente allo stile Art Nouveau.