Pompei ed Ercolano. Ercolano e Pompei. «Impeccabile gestione pubblico-privata», «Disastro, crolli continui», «Fondi europei che non vengono
spesi», «La situazione sta migliorando». Al di là dei contraddittori, spesso faziosamente prevenuti (o compiaciuti) titoli di giornale, solo
un’accurata visita alle due celebri aree archeologiche può servire a decifrare la realtà. Pompei ed Ercolano non sono in Europa. Lo erano,
contribuirono anzi a formare il gusto europeo. Oggi il degrado fa impallidire ogni slum mediorientale. Chi scrive ha percorso a piedi il tratto
Ercolano-Portici, con un’infnita serie di capolavori architettonici piccoli e grandi, e si è imbattuto in vergogne d’ogni genere: all’evidente
fallimento della tutela in capo al Mibact si può qui aggiungere l’inutilità della T (Turismo), accompagnata da tanto clamore, che va a sommarsi
all’acronimo ministeriale. I recenti fatti di cronaca confermano la gravità della situazione. Era il 5 febbraio del 2014 quando una parte di villa
d’Elboeuf crollò sui binari della stazione di Portici. La prima delle centoventidue ville vesuviane del Miglio d’oro, fatta costruire nel 1711 sul
mare da Emanuele Maurizio di Lorena, principe d’Elboeuf e nipote di Carlo VI, iniziatore degli scavi di Ercolano.
dell’anno scorso, rimane ancora senza soluzione
Nel 1738 Carlo di Borbone, re di Napoli, e sua moglie Maria Amalia di Sassonia furono costretti da una tempesta a sbarcare nei pressi della villa. La coppia rimase talmente colpita dalla bellezza della dimora e del luogo da voler far costruire nelle vicinanze la Reggia di Portici. L’aristocrazia napoletana per emulazione edificò le ville vesuviane che ancora oggi, malgrado le devastazioni e il degrado, si susseguono numerose. Villa d’Elboeuf è il malinconico scheletro di un passato glorioso. Solo un tunnel provvisorio di cento metri, al riparo da eventuali possibili ulteriori cedimenti dell’edifico fatiscente, ha permesso di riattivare a un anno dal crollo la linea ferroviaria Pozzuoli - Castellammare di Stabia. A destra della villa la stessa triste sorte condanna uno dei primi esempi di complessi balneari in Italia, quei bagni della Regina voluti nel 1813 da Carolina Bonaparte, moglie di Gioacchino Murat. Un’opera straordinaria e invidiata ridotta a rudere abbandonato. Raccapricciante.
