D
al 1937 si trova alla National Gallery di Washington, dove non è esposta, a causa del suo stato alterato. Gli infausti interventi di restauro, succedutisi nei primi decenni del secolo scorso fino alla quasi totale ridipintura della tavola, hanno reso difficile l’attribuzione (Luciano Berti proponeva perfino il nome del giovane Filippo Lippi). Tuttavia, le parti originali (per quanto in cattive condizioni), visibili nelle fotografie eseguite prima della manomissione, mostravano, secondo il parere di Joannides (1993), e di Boskovits (2003), un’inconsueta, altissima qualità che non avrebbe paragoni in quegli anni (1423-1424 circa) se non con la mano del pur giovanissimo Masaccio. Va anche notata l’inusuale iconografia della composizione. Si tratta di una variante della tradizionale raffigurazione della Madonna dell’umiltà seduta su un prato fiorito, tipologia diffusa in Italia centrale a partire dalla prima metà del Trecento. La figura della Vergine di Washington non poggia direttamente sul terreno, ma su un prezioso cuscino di broccato, simile a quello dell’ancora misteriosa Madonna dell’umiltà degli Uffizi. Quest’ultima, attribuita senza dati certi a Masolino e ascritta all’incirca al 1420, fu data da Federico Zeri, in via ipotetica, al pittore fiorentino Pesello, di cui si conoscono molti documenti e nessuna opera certa. Frosinini e Bellucci, per questioni soprattutto morfologiche, la ritengono di un anonimo artista dell’Italia centrale mentre a noi pare anche in sintonia con la bella tavoletta con la Madonna delle calle della chiesa di Montemignaio, in provincia di Arezzo, attribuita a Giovanni Toscani e risalente al 1420 circa. Nella tavola masaccesca di Washington il cuscino su cui siede la Vergine col Bambino poggia su un panno dorato, retto alla sommità da due angeli reggicortina, paragonato talvolta a quello che si vede nella Sant’Anna Metterza, dipinto, come si vedrà, fra i più emblematici della stretta collaborazione fra Masaccio e Masolino. Anche la posa della gambe differisce dalla tradizione; di solito un arto è ripiegato sotto il corpo della Madonna, qui invece tutte e due le gambe sono inclinate verso la nostra destra. Ed è anche visibile un piede nudo della Vergine, di consueto coperto dalle vesti, come si può notare in un altro dipinto sicuramente di Masolino, la Madonna dell’Umiltà ora a Brema, commissionata al pittore dalla famiglia fiorentina dei Carnesecchi, come registrano le fonti (la stessa che gli richiese un trittico, come si vedrà, per la chiesa fiorentina di Santa Maria Maggiore). Dovrebbero dunque esser questi gli anni in cui Masaccio comincia a lavorare a Firenze con il più anziano Masolino (nato nel 1383, forse a Panicale dei Renai nel Valdarno), che prese casa a Firenze nel 1422, e si iscrisse all’Arte dei medici e degli speziali nel 1423, un anno dopo Masaccio. Attorno q uest’anno Masaccio dipinge un’eccezionale tavoletta per un’opera di Masolino, con la storia di san Giuliano che uccide i genitori nel letto, ingannato da un diavolo che gli ha fatto credere siano la moglie con l’amante. L’opera, al Museo Horne di Firenze, misura 23 x 43 centimetri, ed è in condizioni deplorevoli (qui è illustrata alle pagine 24-25). Il volto del diavolo è sfigurato e molti graffi solcano la superficie. Tuttavia, è possibile riconoscere che in quello spazio così esiguo l’autore è riuscito con una capacità di sintesi ineguagliabile a indugiare su dettagli stupefacenti, come il cane da caccia, assai diffidente, che accompagna il santo padrone nell’incontro col diavolo, e pare annusare il pericolo, in quel suo volgere il muso verso le gambe calzate di rosso del demonio. Il corpo snello dell’animale è visto da dietro, in uno scorcio che lo rende un capolavoro nel capolavoro. Anche le figure quasi illeggibili dei due coniugi nel letto paiono giacere in uno spazio tridimensionale, nel quale sono state individuate le linee ortogonali incise direttamente sul pannello di legno.La tavoletta era parte di una predella di cui si sono perse le tracce, e doveva appartenere al trittico descritto da Vasari nella cappella dei Carnesecchi (decorata da Paolo Uccello) in Santa Maria Maggiore a Firenze. Vasari pensava erroneamente che tutta l’opera, che aveva ammirato un giorno con Michelangelo, fosse di Masaccio. La parte superiore raffigurava la Madonna col Bambino, santa Caterina e san Giuliano, mentre la sottostante predella era decorata con la Natività di Cristo al centro, e ai lati, da una parte quest’episodio di san Giuliano, e dall’altra la vita di santa Caterina. Le tre scene della predella erano ciascuna in corrispondenza simbolica, come tradizione, delle figure soprastanti. Del Trittico Carnesecchi venne identificata nel 1895 la parte centrale superiore con la Madonna col Bambino nella chiesa di Santa Maria a Novoli, che fu trafugata nel gennaio del 1923 e non è più stata ritrovata (restano le fotografie in bianco e nero). L’anta destra, con il San Giuliano (Firenze, Museo arcivescovile di arte sacra) fu rinvenuta nel 1899 nella Badia a Settimo. Solo lo scomparto di predella del Museo della Fondazione Horne è riconosciuto di Masaccio, mentre la Madonna e il San Giuliano sono ascrivibili a Masolino.
Un’altra predella con le Storie di san Giuliano, conservata al Musée Ingres di Montauban, fu dipinta sicuramente da Masolino ma proviene da un altro polittico per ora ignoto, come è stato ben dimostrato di recente grazie agli esiti del restauro.
Questa probabile prima collaborazione di Masaccio con Masolino, senza che si debba parlare forzatamente di un alunnato dell’uno presso la bottega dell’altro, dovrebbe essere avvalorata dal fatto che la famiglia Carnesecchi veniva proprio da Cascia di Reggello, a due passi dalla chiesetta di San Giovenale per la quale Masaccio aveva dipinto il suo primo trittico noto.

