O
ggi ancora, la portata innovativa di Masaccio, rispetto al pur bravo collega, non viene sminuita nonostante si tenda ormai a guardare sotto occhi diversi la pittura di Masolino, come già si è accennato, dopo gli esiti insospettabili del restauro alle pareti (la volta affrescata era andata distrutta fra il 1746 e il 1748) e il rinvenimento nel 1984 di lacerti di pittura dietro l’altare posticcio, con due tondi di Masolino dai volti dolcissimi. Comunque, perfino le parti che molto più tardi, sul finire del secolo, integrò Filippino Lippi, mostrano che quest’ultimo, talentuoso pittore, avrebbe tentato (e ci riuscì con risultati felicissimi) di adeguarsi, per così dire, allo stile e ai modi del grande predecessore, che oltretutto era stato l’ideale ispiratore del padre fra Filippo, quando da novizio proprio al Carmine era rimasto talmente colpito dagli affreschi di Masaccio, da volerne quasi incarnare lo spirito.Dunque, la storia di questi affreschi ha inizio con la probabile richiesta a Masolino, da parte di Felice Brancacci, di affrescare la cappella di famiglia al Carmine. Felice era un ricco mercante di sete, che ricoprì importanti incarichi politici per la Repubblica fiorentina: console del mare, ambasciatore al Cairo, commissario alle truppe alleate nella guerra contro Milano, e genero di Palla Strozzi, del quale seguì il destino dell’esilio. Nel 1425, tuttavia, nel pieno dei lavori di decorazione della cappella, pare che Felice fosse stato accusato di una grave appropriazione di denaro pubblico, ed è probabile che fossero stati piuttosto i frati carmelitani a seguire più direttamente i lavori, magari dando qualche consiglio di natura teologica ai due pittori. Comunque, pare che le immagini di Felice e della sua famiglia, se effettivamente furono ritratte in alcune scene della cappella, avrebbero subito una drammatica “damnatio memoriae”: cancellate, o graffiate via dagli affreschi, dopo l’esilio di Felice e il successivo ancor più severo bando che lo costrinse a non tornar mai più in patria. Le storie da affrescare erano legate alla vita di san Pietro, e si tratta del ciclo più importante ispirato a questo soggetto che si conosca in quegli anni in Italia (probabilmente su questa scelta influì l’importanza politica, in quegli stessi anni, del desiderio di riaffermazione temporale del papato). Gli episodi della vita di Pietro, che sarebbe stato martirizzato nel luogo dove poi sorse il Vaticano, sono preceduti dalle raffigurazioni sui due pilastri (a destra quello della Tentazione di Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre (Masolino), e a sinistra quello della Cacciata dei progenitori (Masaccio). Poste a pendant, queste due raffigurazioni, come sempre spiegano i libri di scuola, evidenziano la diversità d’approccio nell’espressione dei sentimenti, più intensamente e psicologicamente rappresentati da Masaccio, come pure un diverso “peso” dei corpi nello spazio, più aleatorio e inverosimile nel caso di Masolino.
L’episodio più celebrato di tutto il ciclo resta il Tributo, nel registro superiore della parete destra, in cui Masaccio illustra la storia riferita dal Vangelo di Matteo (XVII, 24-27) della richiesta di riscossione delle tasse da parte di un esattore. Mancano i soldi, e Gesù (scena centrale) indica subito agli apostoli di cercarli in mare, nella bocca di un pesce che prontamente Pietro va a cercare sulla riva del lago di Genezareth (che invece dovrebbe essere il mare). All’estrema destra, vediamo Pietro che consegna i soldi all’avido gabelliere.
I tre momenti diversi sono genialmente unificati da Masaccio, grazie a un saldo impianto prospettico, e i volti degli apostoli, taluni di profilo, come classiche monete romane, sono tutti individualmente interpretati come veri e propri ritratti. L’episodio probabilmente doveva anche alludere alla politica economica fiorentina di quel periodo, che portò alla rivoluzionaria istituzione del catasto, nel 1427. Una seconda chiave di lettura sarebbe ispirata all’idea agostiniana che la storia dell’umana esistenza s’identifica nel processo di redenzione attraverso la Chiesa. Il Tributo simboleggerebbe dunque il fatto che la Chiesa rispetta le leggi politiche ed economiche della società, ma le trascende: «Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio» (Matteo, XXII, 21). La scena del Tributo presenta anche un brano strepitoso, essenziale, di paesaggio montano col cielo solcato da nuvole, e le onde del mare (o del lago) che formano come mezzelune di toni contrastanti. Il giudizio di Longhi, che identificava l’unica presenza di Masolino in questa scena nel volto di Cristo al centro, è stato poi confermato dalle indagini tecniche in corso di restauro, che hanno stabilito come quel volto sia stato eseguito individualmente, in un’unica giornata (o sessione) di lavoro.