Grandi mostre. 2
Il gruppo Zero ad Amsterdam

un circo
itinerante

Tornare alle origini, riportare l’arte a una forma archetipica, lontana da preconcetti, sperimentare e innovare. Questi i presupposti del collettivo Zero, nato alla fine degli anni Cinquanta a Düsseldorf e attivo poi in tutto il mondo. Lo conosciamo ora grazie all’esposizione in corso allo Stedelijk Museum.

Paola Testoni de Beaufort

«4, 3, 2, 1… ZERO. Oro e argento, rumore e fumo. Il circo itinerante Zero», così annunciavano, nel 1963, Heinz Mack, Otto Piene e Günther Uecker nel loro manifesto poeticamente concepito e distribuito come dépliant durante la loro prima mostra presso la galleria Diogenes a Berlino. Con l’idea di un circo itinerante, questo movimento voleva convincere gli artisti a ritornare a un archetipo artistico: un collettivo che avrebbe viaggiato di luogo in luogo, impegnato in una permanente evoluzione: «ZERO è tondo, ZERO gira». 

Il nome Zero nasce il 26 settembre 1957, pensato proprio da Heinz Mack e Otto Piene in un bar di Düsseldorf, il Fatty’s Atelier, come definizione per un nuovo movimento artistico e un nuovo periodico. Qualche ora prima i due artisti avevano aperto la quarta edizione dell’“Abendausstellung” (mostra serale, dal titolo Das rote Bild) nell’atelier di Piene, ed era apparso subito evidente che alcuni dei lavori esposti avrebbero rappresentato una novità assoluta. La concisione del termine e la sua comprensibilità in molte lingue aiutano il gruppo, negli anni Sessanta, a diventare presto un “marchio”: Zero come il segno di un nuovo e ottimistico movimento artistico in cui l’elemento del dinamismo rappresenterà uno degli aspetti essenziali, non solo in molti dei lavori di questi artisti, ma anche nel carattere del movimento stesso che, con le sue diverse costellazioni, sfugge spesso a una precisa definizione. 

Nei Paesi Bassi, nello stesso periodo, viene fondato da Armando, Jan Henderikse, Henk Peeters e Jan Schoonhoven, il gruppo Nul. A questi si aggiungerà in un secondo momento Herman de Vries. In Italia, Francia e Belgio lavoreranno alla stessa strategia artisti come Lucio Fontana, Piero Manzoni, Enrico Castellani, Jean Tinguely, Yves Klein, Daniel Spoerri, Jesús-Rafael Soto, Christian Megert, Pol Bury e Jef Verheyen. Artisti che presto si legano al trio di Düsseldorf per l’organizzazione di mostre comuni in atelier, gallerie e, infine, anche musei. Si collabora pure per l’esecuzione di opere d’arte, performance, happening, multipli, riviste e pubblicazioni. Lo stesso Mack, ripensando a quei giorni, descrive così il processo con il quale questo network si forma: «In Italia ho vissuto la stessa esperienza che in Francia, Belgio e Olanda: in diversi luoghi, in Europa, si avverano gli stessi fatti, come fonti che improvvisamente e contemporaneamente emergono e zampillano, mostrando ovunque quello che io sto mostrando nel mio ambiente».


Tutte le opere illustrate in questo articolo, dove non diversamente indicato, sono conservate allo Stedelijk Museum di Amsterdam. Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attesa (1966).