In che senso parlare del “primitivismo” di Klee? Esistono molti stili “primitivi” nell’attività dell’artista, ciascuno diverso per repertorio di riferimento, modi e propositi. Dobbiamo dunque distinguere a seconda dei momenti o delle stagioni kleeiane. E cercare di ricostruire ogni volta contesti disparati e mutevoli.
Talvolta, nel soffermarci sul “primitivismo” di Klee, potremo intendere una particolare attenzione agli elementi primi della rappresentazione, cioè linee, superfici, colori: faremo quindi riferimento a un primitivismo di tipo formale, che rifiuta la sofisticazione tecnica o narrativa e gli effetti di illusione in nome di una nudità programmatica. Talaltra saremo invece indotti a privilegiare elementi di “gusto” arcaizzante. Prevarranno allora citazioni tratte dall’archeologia cristiana, dall’antichità islamica e persiana, dall’arte africana, oceanica o precolombiana (e persino inuit). Ecco gli “attori” e i funamboli del dopoguerra, gli idoletti o i celebri angeli dei tardi anni Trenta, oscillanti tra sublime e grottesco, simili alle figure dai tratti ampi e semplificati dei tessuti copti. Esiste poi una terza possibile accezione di “primitivismo” kleeiano, più legata alla fortuna di artisti nordici come Klinger, Munch o in misura minore Ensor (e indirettamente alla leggenda fin de siècle di Goya): “primitiva” in tal senso è la maschera folle o notturna, l’immagine che riconduce lo spettatore al terrore primigenio, all’angoscia e allo smarrimento della caverna.
I tre primitivismi cui abbiamo accennato - formale, etnografico, psicologico - possono intrecciarsi e alimentarsi reciprocamente. Mantengono però un’identità separata e conducono in direzioni specifiche, a tratti persino divergenti. Non è lecito muoversi esclusivamente sul piano esotizzante del confronto tra Klee e le arti cosiddette “tribali”, come spesso si è fatto in passato: l’interesse per l’arte psichiatrica o per il disegno infantile entrano a pieno titolo nel “primitivismo” di Klee, così come l’adozione (in anticipo sul minimalismo degli anni Sessanta e Settanta) del disegno tecnico o geometrico.
Esemplifichiamo. Il giovane artista che, attorno al 1910, dipinge nudi schematici e dolorosi, distinti da contorni geometrici e macchie di colore, interpreta la moda primitivistico-fauve che dalla Francia va al tempo diffondendosi in tutta Europa. Adotta contrasti di colore e semplificazioni in chiave etnografica. Se Cézanne aveva raccomandato di ricondurre i corpi a pochi solidi elementari, Matisse aveva invece chiarito il senso a suo avviso “religioso” della figura. Ninfe e driadi picassiane, dipinte all’indomani delle Demoiselles d’Avignon (1907) e suggestivamente ambientate tra gli alberi colossali di foreste primordiali, sembravano confermare al tempo l’attrazione per una femminilità totemica e ritrosa, esistente miticamente allo stato di natura. L’interesse di Klee per le culture artistiche extraoccidentali matura sotto il duplice segno matissiano-picassiano della caricatura elevata a stile ieratico.
