La storia della fotografia cinese è come la punta di un iceberg che affiora dall’acqua. Rende visibile una piccola parte di un intero ancora sommerso e tutto da scoprire.
Nel cinese scritto per definire la “fotografia” vengono usati soprattutto due ideogrammi: “zhao” (luminosità, riflesso) e “ying” (ombra). Le espressioni contenenti “zhao” sembrano collegarsi alla radice greca del termine fotografia, ovvero “scrittura della luce” (“fos” luce e “graphìa” scrittura); quelle con “ying” hanno invece un’etimologia diametralmente opposta. “Sheying”, per esempio, con cui s’intendono l’arte e l’azione fotografica, è traducibile in: cattura l’ombra (“she” e “ying”).
L’avvio di una pratica fotografica in Cina - tra le molte altre cose - è anche il risultato di una serie di preziosi contributi scientifici come lo studio dell’ottica, frutto di un antico interscambio culturale tra Oriente e Occidente, che portò all’invenzione della camera oscura; la chimica moderna da cui derivarono le sostanze fotosensibili; e ancora lo studio anatomico che divenne uno dei primi campi d’indagine fotografica. L’interesse verso la scrupolosa riproduzione del corpo umano fu una vera novità per la cultura cinese, che nelle arti figurative aveva rifiutato l’idea di “mimesis”. Fu dunque indispensabile la presenza degli occidentali, in particolare dei missionari, che si dedicarono all’insegnamento su come utilizzare lo «strumento per catturare le immagini»(1).
Ma la fotografia cinese non può prescindere anche dalla propria eredità culturale, a partire dagli assunti teorici e dalle modalità compositive della pittura, fino all’impostazione grafica e al procedimento tecnico di riproducibilità seriale della stampa xilografica(2).
Le origini storiche coincidono con la crisi del millenario impero cinese che, giunto al suo epilogo, diviene lo specchio esotico dell’Occidente.
