Il gusto dell'arte


attorno
al focolare

di Ludovica Sebregondi

Prendendo spunto dal tema dell’Expo, “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, la rubrica per quest’anno cambia, presentando luoghi legati al cibo: la cucina

Per secoli la cucina ha rappresentato il luogo centrale delle case, in cui si svolgeva la vita familiare, si cuocevano le vivande, si mangiava, ci si scaldava, spesso anche si dormiva. Tutto girava attorno al fuoco che, con il suo composito valore simbolico, ardeva in un focolare ampio e accogliente o semplice e spartano. Talvolta il camino era contornato di panche dove nei mesi freddi familiari e amici sedevano al caldo e passavano le serate “a veglia”, ascoltando novelle o novità venute da lontano. Al centro del camino gli alari sostenevano grossi ceppi e sopra pendeva, appeso a una catena, il paiolo per l’acqua calda e per cuocere verdure e bolliti. Gli altri arredi erano semplici: un tavolo, delle panche, casse per il grano, una madia usata per lavorare il pane, e per conservarvi quello cotto. Nelle case più raffinate c’era un acquaio per lavare le stoviglie, ma in genere ci si accontentava di secchi e catini. 

Si cucinava inginocchiati davanti al focolare: lo attestano numerose fonti iconografiche, che mostrano, generalmente, donne impegnate nelle diverse preparazioni. Se non sorvegliano la cottura di una minestra o di un pezzo di carne da consumare lesso, controllano la cottura di polli o di arrosti. Queste ultime pietanze non erano frequenti in tutte le cucine, ma limitate alle più abbienti, dato che solo la carne più giovane e tenera - e dunque costosa - poteva essere arrostita senza risultare durissima e tigliosa. 

Il pittore Federico Zuccari (1539-1609), in un affresco eseguito nel 1578 sulle pareti della sua casa fiorentina, presenta una fantesca piegata davanti a un camino che ha la parete di fondo in parte annerita dall’uso prolungato, su cui sono appesi un treppiedi e griglie di ferro. Un giovane garzone osserva, seduto sul gradino, la donna che umetta l’arrosto sullo spiedo con dell’olio distribuito con un rametto di odoroso rosmarino. Lo attinge dal piatto da lei tenuto con la mano sinistra, ma la riserva è nel recipiente appoggiato in primo piano. Il grasso che cola su una leccarda, o “ghiotta”, servirà poi per cuocere e insaporire altre pietanze. Sembra quasi di poter gustare la sapidità di quella carne e avvertire l’atmosfera serena in cui verrà consumata. 

Circa tre secoli dopo Domenico Induno (1815-1878) ci introduce invece in una cucina resa già mesta dall’espressione della giovane donna che ha ricevuto la lettera: una scena presentata con quell’amorevole compassione verso i poveri che il pittore traduce in una pittura di genere che trova ispirazione nei temi più quotidiani. Dalla finestra si vede il duomo milanese, in questa casa modesta in cui tutto appare disordinato e trascurato: il piccolo fornello è spento, della cenere è caduta per terra, la paletta destinata a raccogliere i tizzoni pende inutilizzata a un gancio, il mantice giace sul davanzale vicino a un tegame in terracotta. La giovane è talmente attonita per la notizia che quella missiva ha recato, che il cibo è l’ultima delle sue preoccupazioni.


Federico Zuccari, affresco della volta della Sala terrena di Casa Zuccari a Firenze (1578), particolare con la cucina della casa dell’artista.


Domenico Induno, La lettera (1860-1863 circa), Napoli, Museo di Capodimonte.