L'artista “nasce” in America. E non solo là dove ci porta l’aneddoto - tra i rarissimi della sua biografia - che è a Hereford, Texas. L’anno è il 1944, quando il tenente medico Burri Alberto, rinchiuso nel campo degli “irriducibili”, decide che l’umanità non meriterà i suoi servizi. Una “révolte” camusiana, la sua, che andrà nella direzione più improbabile e arrischiata: l’arte.
E sarà ancora l’America ad accorgersi per prima di questo italiano “feroce” - Francesco Arcangeli pensava sicuramente a lui auspicando l’artista venturo
capace di spazzare via quanto l’arte italiana stava balbettando in quegli anni - e ad accoglierlo nella sua orbita. Sta qui il vero esordio di Burri,
quello che promette la carriera maggiore, fulminante. A fargli da apripista sono la Allan Frumkin Gallery di Chicago, la Stable Gallery e la Martha
Jackson di New York, fino al primo mentore J.J. Sweeney, direttore del Solomon R. Guggenheim che lo inserisce nel 1953 nella storica mostra Young
European Artists: A Selection e due anni più tardi gli dedicherà la prima monografia.