«La penna è più aguzza del pennello». Con queste parole Malevič annuncia, nel 1920, la sua volontà di sospendere l’attività di pittore per dedicare tutte le sue energie alla stesura di studi teorici, programmatici, polemici, filosofici. Intende sublimare l’attività del pensiero rispetto alla “faktura” dei dipinti e riscattare l’arte come attività creativa pura e non come arma utilitaristica, secondo l’indirizzo che la contemporanea cultura dei materiali e il costruttivismo stavano promuovendo. «Ora che mi trovo nell’“esilio” di Vitebsk potrò concentrarmi con assiduità, e i pennelli mi s’allontanano sempre di più»(1). L’attività filosofica e teorica è considerata da Malevič come un’inevitabile conseguenza della sua trasformazione suprematista. Aveva inaugurato, nel 1919, con il trattato Sui nuovi sistemi nell’arte, un cammino rischioso con il quale voleva creare il corpus di una nuova teologia, accolta con scetticismo dai suoi colleghi e con attacchi da parte dei costruttivisti.
La scrittura teorica, insieme all’attività epistolare, si concentra nei tre lunghi inverni (1919-1922) durante i quali insegna a Vitebsk nella Scuola d’arte popolare, sostituendo dal 1920 Marc Chagall alla direzione. Alla stessa scuola insegna Lazar Markovic Lisickij, architetto e creatore dei Proun (Progetti per l’affermazione del nuovo), figure astratte, figlie dei quadrati, delle croci e dei cerchi suprematisti.