Stalin dovrebbe essere condannato per danni postumi arrecati ai collezionisti. Già, perché il suo dogmatismo, la sua censura ferrea, i suoi modi “spicci” nell’imporre lo stile figurativo che gli pareva più funzionale ai fini politici, hanno portato grandi maestri a forzare la propria indole e a creare opere di scarso interesse. Queste, ovviamente, si scambiano per cifre relativamente modeste.
Fra le illustri vittime di Stalin emerge Kazimir Malevic (1878-1935), un vero rivoluzionario, che prima recuperò il patrimonio dell’arte popolare russa
e si dedicò a soggetti umili, lontani dai salotti della splendida Parigi, aderendo al gruppo dei neoprimitivisti. Poi si spinse oltre e fondò il
suprematismo. Spazzò via la figurazione, creando quadri in cui forme geometriche, perfette o quasi, si muovono su superfici monocrome bianche. Dialogano
fra loro, si contrappongono, si completano, con scelte cromatiche azzeccatissime, a rappresentare le diverse anime che agitano una persona o un gruppo.
Il tutto tracciato a mano libera, con uno sforzo sisifeo per arrivare alla perfezione delle forme, perché Malevic mirava a dipingerle assolutamente
regolari, superando i limiti del proprio talento.
Così, nei suoi anni migliori, produsse poco. Poi arrivò la scure di Stalin e tutto cambiò. L’artista si trovò a ritrarre delle specie di manichini a più
colori, indefiniti ma con profili/vestiti che rimandano alla classe lavoratrice, con sfondi spesso azzurri e realistici, talvolta arditamente
imbavagliati. Altre volte dovette scendere a un vero e proprio figurativismo di maniera: un disastro in confronto con le sue prime opere. Lo sanno bene
i collezionisti che cercano col lumicino le opere giovanili, prestaliniste, di Malevic e quando le trovano in asta, si scatenano in vere e proprie gare
al rialzo, specie negli ultimi tempi.