egli perciò assunse lo pseudonimo Manji di derivazione buddista che l’avrebbe accompagnato per tutto il resto della sua vita.
L’avvio di questo nuovo periodo coincise con la pubblicazione del primo dei tre volumi (il secondo e il terzo saranno pubblicati rispettivamente nel 1835 e nel 1849) delle Cento vedute del monte Fuji (Fugaku hyakkei). I primi due album delle Cento vedute sono dei veri e propri capolavori, non solo per lo straordinario lavoro grafico e creativo di Hokusai, ma anche per la perfezione tecnica della stampa che, pur condotta con il solo ausilio del nero e di vari toni di grigio, assume tonalità cromatiche di assoluta bellezza tanto da sembrare in certi casi policroma. Non così per il terzo volume, che presenta un’evidente inferiorità nella qualità dell’incisione oltre ad alcuni balbettii nelle composizioni, tanto che secondo numerosi studiosi esso non andrebbe assegnato al maestro.
Nonostante l’età avanzata e la grande popolarità raggiunta, gli ultimi quindici anni di vita furono per Hokusai terribilmente travagliati. Conduceva una vita miserevole in compagnia solo dell’amata figlia Oei, perseguitato dai creditori di un certo suo nipote balordo, tanto che nel 1834 si risolse a trasferirsi a Uraga nella penisola di Miura, a circa cinquanta chilometri da Edo, forse anche per sfuggire alla grave crisi economica che colpì il Giappone in quegli anni, culminata nel 1837 in una disastrosa carestia. Al limite della sopravvivenza, per sbarcare il lunario l’artista fu costretto a vendere i propri schizzi in strada per pochissimi soldi.
