si può prendere spunto da Studio di figura en plein air: donna con parasole, voltata verso destra, uno tra i dipinti più noti della mostra Monet. Dalle collezioni del Musée d’Orsay - da poco inaugurata alla Gam di Torino - per qualche considerazione in merito alle scelte che orientano un’esposizione che riporta in Italia, dopo diversi anni, le opere di uno degli artisti più amati dal pubblico per il suo ruolo di capofila dell’impressionismo francese.
La fortuna in Italia di quel dipinto, in cui Monet rielabora in termini diversi e nuovi la trascrizione di un effetto di luce colto anni prima in La
passeggiata, offre una prima chiave di lettura per una mostra che desidera mettere a fuoco alcune tappe del complesso percorso di Claude Monet.
Basata su una partnership importante fra i due musei, l’esposizione è frutto di una rigorosa collaborazione curatoriale. Diversamente
dall’esaustiva, forse irripetibile retrospettiva dedicatagli proprio dal Musée d’Orsay tra il 2010 e il 2011, quella torinese circoscrive alcuni
momenti significativi della ricerca dell’artista attraverso una selezione di quaranta opere, tutte appartenenti al grande museo parigino.
L’arco cronologico si estende dagli esordi fino alla crisi dell’impressionismo e all’avvio delle “serie” con la presenza di due straordinarie
versioni della Cattedrale di Rouen.
Il percorso consente di apprezzare le diverse declinazioni della pittura “en plein air”
attraverso soggetti e luoghi che hanno avuto un particolare significato nella biografia di Monet; in diversi casi quest’attenzione si intreccia alla
partecipazione dei dipinti alle esposizioni impressioniste. La mostra riporta in Italia anche alcune delle opere - tra cui proprio
Studio di figura en plein air - che furono esposte nel 1932 nell’unica sala retrospettiva dedicata a Monet dalla Biennale di Venezia o che
presero parte alla Mostra degli impressionisti nell’ambito della Biennale del 1948, evento che rispondeva, grazie all’impegno di Longhi e
Venturi, al desiderio di aggiornamento della cultura italiana negli anni del dopoguerra.
Tra le opere protagoniste spicca il frammento
centrale di Le déjeuner sur l’herbe, indiscusso capolavoro giovanile dell’artista, con cui Monet sfida i soggetti storici o edificanti
tradizionalmente associati alle dimensioni monumentali. Concepita per essere esposta al Salon del 1866, la grande tela, che dialoga con l’omonimo
dipinto di Manet del 1863, rimase incompiuta; la trascuratezza con cui fu conservata costrinse l’artista - che aveva dovuto darla in pegno e che
sarebbe riuscito a riscattarla solo ad anni di distanza - a tagliarne le parti danneggiate. Il suo prestito eccezionale offre lo spunto per
ripercorrere le appassionanti vicende legate alla sua realizzazione, e permette di porre in risalto la ricerca di Monet nell’ambito del ritratto e
della pittura di figura. Un capitolo che si arricchisce con la presenza, nel percorso, del grande ritratto di Madame Gaudibert, moglie di un
collezionista di Le Havre, colta col viso di scorcio, anzi quasi del tutto celato, mentre l’attenzione si appunta sui riflessi cangianti dell’abito.
La mostra permette di osservare come i soggetti vengano usati da Monet per esplorare modi diversi di creare: nel giro di pochi anni questi
arditi quadri di figura lasciano spazio alla ricerca di una pittura di paesaggio moderna. Un nucleo di opere legate al soggiorno dell’artista ad
Argenteuil, luogo di piacevoli gite domenicali dei parigini, documenta il procedere del suo lavoro tra il 1872 e il 1875. Tra gli altri è ben noto
il dipinto, appartenuto a Gustave Caillebotte, Regate ad Argenteuil (1872), che con le sue pennellate vigorose esprime la spontaneità di
una stesura “di fronte al motivo”, direttamente sul posto. Questo accento sulle percezioni immediate, sulla soggettività dello sguardo trova
espressione nel colore, mezzo privilegiato per suggerire le forme e le loro relazioni nello spazio.
Monet esplora nuovi motivi paesaggistici spinto da un inappagabile desiderio di restituire
a quintessenza dei luoghi
La ricerca di un paesaggio “véritablement moderne” lo spinge a lasciare Argenteuil per volgere lo sguardo a Parigi con la visione sfaldata e rutilante delle bandiere di La rue Montorgueil, festa del 30 giugno 1878 (1878), una delle icone della pittura impressionista.
Il trasferimento nel piccolo borgo rurale di Vétheuil, cui appartiene il secondo nucleo importante delle opere in mostra, segna un nuovo cambio di passo: nessuna traccia di “vita moderna”, tutta l’attenzione si concentra sulla luce, sui fenomeni atmosferici e sul mutare delle stagioni. Pur non essendoci ancora una temporalità ritmata da diversi momenti è qui che pare affacciarsi per la prima volta l’idea del tema con variazioni. Nel corso degli anni Ottanta Monet esplora nuovi motivi paesaggistici spinto da un inappagabile desiderio di restituire la quintessenza dei luoghi: le coste della Normandia e della Bretagna, con il tempestoso Gli scogli di Belle-Ile, i colori vividi della vegetazione della costa ligure, Le ville a Bordighera, gli spunti caratteristici di Campo di tulipani in Olanda.
Si giunge così a La barca a Giverny (En norvegienne, 1887 circa) in cui le tre figlie di Alice Hoschedé - Germaine, Suzanne e Blanche - vengono ritratte intente a pescare lungo la Senna, non lontano da Giverny, luogo di elezione della sua fase matura. La resa di un momento di affettuosa intimità di quella che sarebbe divenuta di lì a pochi anni la seconda famiglia dell’artista (Monet sposa Alice nel 1892) offre lo spunto per sperimentare un naturalismo che apparve inconciliabile con la sensibilità di molti dei suoi contemporanei: la resa compendiaria delle figure, il gioco dei riflessi colorati sugli abiti bianchi, il rispecchiarsi dell’immagine sull’acqua con la fitta tessitura cromatica dei toni blu, verdi e rosati furono oggetto di aspre critiche in occasione della presentazione del dipinto alla mostra Monet-Rodin del 1889.
La conclusione del percorso insiste sulla capacità di Monet di continuare ad alimentare la propria ricerca in più direzioni: da un lato Londra, il parlamento, effetto di sole nella nebbia, in cui la memoria di viaggi recenti lo sollecita a tornare sul tema di precedenti vedute londinesi con stesure che rendono l’immagine quasi evanescente; dall’altra la svolta radicale con la presenza di due delle straordinarie cattedrali - La cattedrale di Rouen. Portale, tempo grigio e La cattedrale di Rouen. Il portale e la torre Saint-Romain, pieno sole - dove tutta la concentrazione è sulla resa degli effetti di luce e dell’atmosfera. Nel 1895, durante il breve soggiorno in Norvegia, qui ricordato dalla presenza di Il monte Kolsaas, Monet scrive: «Il motivo non è per me che una cosa insignificante, ciò che voglio riprodurre è ciò che sta tra il motivo e me». Si compie così una parabola: il motivo diviene tutt’uno con la percezione, la sensazione soggettiva dell’artista. Sarà questo tratto, accanto alla sua solitaria, inesauribile vocazione sperimentale, a rendere Monet capace di gettare un ponte verso la nostra modernità.


