La vicenda è un “hapax”, non ha simili: un pittore dimenticato e una collezione, a dir poco singolare, nata due
volte. L’artista è Amos Nattini (Genova 1892 - Parma 1985); a diciannove anni lo scopre Gabriele d’Annunzio, del quale illustra le Laudi del cielo,
del mare, della terra, degli eroi e le Canzoni delle gesta d’oltremare; con il Vate, nel 1914 è a Parigi: esporrà più volte, anche al Jeu de Paume.
Frequenta i salotti del bel mondo, come quello di Luisa Amman, la marchesa Casati Stampa di Soncino, eternata da Giovanni Boldini; colei che amava
passeggiare con un leopardo al guinzaglio e che visse a Ca’ Venier dei Leoni, a Venezia, prima di Peggy Guggenheim. Tanti scrivono di Nattini: anche
Ugo Ojetti.
Amos, per più di vent’anni, dal 1920, si dedica a illustrare la Divina commedia: cento tavole (le chiama Visioni) per cento canti,
le prime tre esposte alla Permanente a Milano. Nel 1939, un librone, carta a mano di Fabriano tratta da stracci, caratteri da lui stesso disegnati,
è edito dall’Istituto nazionale dantesco: donato al re, al duce, al papa, e divenuto rarissimo, ne restano una decina di copie; erano a Milano, in
un magazzino distrutto dalle bombe della seconda guerra mondiale. Le immagini, ad acquerello, dagli anni Venti sono esposte in giro per l’Italia e a
Parigi; per la prima volta, tutte assieme, a Ravenna nel 1967. Quando nel 1940 arriva la guerra lui se ne va in un ex eremo benedettino
nel Parmense, sopra Collecchio, a Oppiano di Gaiano: non si muoverà più. Partigiano, aiuta gli inglesi, fuggiti dal campo di concentramento di
Fontanellato; è arrestato dalla Gestapo, poi rilasciato. Dopo la Liberazione, è il primo sindaco di Collecchio (per sei mesi), poi consigliere
comunale socialista. Chiude con il vecchio mondo: «Dipingerò la gente che tira la vita con i denti». Si fa dimenticare, e viene dimenticato.
Ma non da tutti. Secondo capitolo della storia. Pietro Cagnin, ottantotto anni, nasce da un ferroviere; ha otto fratelli e a tredici anni già
lavora: nel dopoguerra, alle officine di Oreste Luciani, dove impara a fabbricare caldaie. Lì, Cagnin vede un quadro di Nattini:
Il fabbro parmense. Nel 1955 si mette in proprio. Il figlio Giampaolo dice: «Riparavamo ancora le suole delle scarpe in casa con il cartone;
lui arriva con due quadri di paesaggi, comperati a un’asta; mia madre non la prese bene». Pietro cosparge intanto di caldaie la zona. E va in
campagna, a conoscere il pittore eremita. Si piacciono (per le umili origini?); diventano amici. Cagnin avrà una quarantina di Nattini, tutti
comperati. Un tracollo a inizio anni Ottanta, pare a causa di un socio. Deve vendere tutto.
