Molto presto l’Occidente ha posato il suo occhio fotografico sull’Oriente e sulla Cina, in un momento di crisi
dell’impero cinese: la prima Guerra dell’oppio (1839-1842) fu una pesante sconfitta per la Cina, con l’apertura agli occidentali di vari porti e la
concessione di circolazione sul territorio di missionari stranieri. L’opera dei primi fotografi fu quindi l’espressione visiva delle relazioni tra i
due mondi: militari, diplomatici, funzionari, missionari, studiosi, operatori e fotografi commerciali. Il 16 luglio 1842 il dottor Richard Woosnam e
il generale Malcolm avrebbero realizzato il primo dagherrotipo, forse lungo il fiume Giallo. Non ne rimane però traccia, mentre rimangono quelli
realizzati da Jules Itier (1802-1877) nel 1844: quaranta foto di Macao e Canton, considerate per ora le più antiche fotografie della Cina; si
trovano al Musée Français de la Photographie di Parigi e forniscono una panoramica della percezione occidentale del mondo cinese dell’epoca, con
un’ottica enciclopedica e comparativa. Le immagini s’ispiravano al vedutismo, movimento pittorico che il fotografo scelse come modello, agli inizi
della nuova modalità espressiva. Furono poi aperti studi fotografici in varie città portuali, e nel 1858 arrivò il primo fotografo professionista
per un tour in Cina e Giappone e immagini per il mercato europeo e americano: Pierre Rossier (1829-1883/1898), svizzero, realizzò vedute e ritratti
a Canton e a Hong Kong(1).
presenta immagini che ricreano il procedere di una battaglia già avvenuta
Nel 1860 giunse a Hong Kong Felice Beato (1825-1903), con altri fotografi occidentali e le truppe anglo-francesi, per la seconda Guerra dell’oppio (1856-1860). Fu uno dei primi casi di fotogiornalismo di guerra e di sostegno, attraverso le immagini, dell’efficacia e della necessità del colonialismo occidentale. Felice Beato, nelle foto delle Fortezze Taku(2), narra una storia; le immagini ricreano il procedere di una battaglia già avvenuta: l’avvicinamento, i segni dei bombardamenti sui muri esterni e la devastazione interna finale, con la composizione dei corpi dei morti cinesi secondo criteri di ricerca formale. Un uso concettuale della fotografia, a un livello più complesso: alla presentazione dell’immagine si unisce l’intervento sulla sua lettura, compiuto a fini persuasivi.
William Saunders tenne aperto a Shanghai uno dei primi studi fotografici dal 1862 al 1887(3). Già ritrattista, riprese la vita quotidiana del popolo, contribuendo così alla creazione e alla diffusione dell’immagine occidentale della Cina.
Le sue foto furono infatti anche vendute da altri fotografi locali e pubblicate regolarmente su varie riviste inglesi; nel 1870 venne poi edito il suo Portfolio of Sketches of Chinese Life and Character, per la relativa mostra alla Royal Photographic Society (a Bath). Scattò anche foto relative alle esecuzioni capitali in Cina: non potendo riprodurre direttamente le esecuzioni, Saunders ne fotografò ricostruzioni, con una propria ricerca formale. Anche la Chiesa cattolica ha una lunga tradizione di contatti con la Cina e ha sempre riservato grande attenzione all’immagine, quale mezzo per rendere visibile la propria visione del mondo. Molte le tecniche utilizzate, volte sia alla creazione di opere uniche che riproducibili in gran numero, utili per la predicazione in terre lontane, e il dicastero di Propaganda Fide a Roma è stato uno dei principali centri di scambio delle conoscenze tra Occidente e Cina. Nel 1847 pubblicò il Vademecum per missionari, in cui già si annunciava l’invenzione della fotografia, da parte di Daguerre e Talbot (1839). Padre Giovanni Bricco (1868-1943) fu missionario in Cina per trent’anni; arrivò nello Henan nel 1892 e ci ha lasciato il diario e le fotografie donate al PIME (Pontificio istituto missioni straniere). In una fotografia del tempo(4) il missionario è ritratto in abiti di dignitario cinese, segnalando visivamente l’apertura alla cultura locale.


