La vita quotidiana delle persone comuni entra nella pittura del Nord Europa molto presto. La troviamo nelle
sculture con le raffigurazioni dei mesi sui portali delle cattedrali gotiche, nelle miniature dei libri d’ore dei fratelli de Limbourg, a inizio
Quattrocento, e poi soprattutto nella pittura di Jan van Eyck e di Robert Campin, pochi anni dopo. Nel portello destro del Trittico De Mérode di
Campin (1427-1432), per esempio, la vita quotidiana si infila come una ventata di freschezza nella bottega di falegname in cui san Giuseppe attende
al suo lavoro. Ed è un falegname vero, con i suoi attrezzi, i trucioli sul tavolo di lavoro e per terra, la trappola per topi e la strada su cui si
apre la finestra col viavai di gente di una giornata qualunque. Ecco, è esattamente questo il modo in cui la pittura di area francoborgognona e
fiamminga segna con un marchio speciale la sua scelta di realismo. Dando modo alla vita di insinuarsi nella storia, o come in questo caso in un
soggetto sacro, addirittura. E non perderà più quel marchio, anzi lo esalterà nei secoli successivi fino a consegnarlo a fine Cinquecento a
un’Olanda calvinista nella morale e laica negli affari, e nella pittura. Pittura che volta le spalle a un campionario di soggetti non più
percorribili per scelta di fede (il calvinismo è contrario alle immagini sacre) e volentieri abbandonati da un mercato che chiede all’arte di
raffigurare il mercato stesso, lo strato sociale borghese che ha preso il potere sostituendosi alla corte, al clero, alla nobiltà.
“Scene di genere”, opere di soggetto profano,
ambientate nei luoghi dove la gente vive
Bosch (-s’Hertogenbosch, Brabante Meridionale, Paesi Bassi, 1453-1516) riesce nell’impresa singolare di essere il più sofisticato e visionario dei pittori di sogni, di ombre e di fantasie allucinate, e al tempo stesso il primo a dipingere quelle che saranno chiamate “scene di genere”, opere di soggetto profano, ambientate nei luoghi dove la gente vive nel presente, senza riferimenti obbligati al mito, alla storia, alle Scritture. Il venditore ambulante di Bosch (1500 circa) fa parte delle collezioni del Boijmans. Ha una gerla sulle spalle per le mercanzie che cerca di vendere, è magro e lacero, usa il bastone per cercare di difendersi da un cane e passa davanti a un bordello di campagna (individuato come tale dall’atteggiamento della coppia nel vano della porta e anche dall’uccello in gabbia accanto all’ingresso e dal palo infilato in una brocca che segnalava la presenza di simili locali dalla sommità del tetto). Una lettura simbolica vede nel personaggio una rappresentazione del peccatore pentito, ormai in disgrazia, che guarda indietro ai propri errori.
Lo stesso personaggio figura sugli sportelli chiusi del grande Trittico del Carro di fieno, dello stesso Bosch (1516 circa), arrivato alla mostra dal Prado. Qui il vagabondo è circondato da pericoli e tentazioni, e deve ancora difendersi da un cane ringhioso. Il trittico fu acquistato da Filippo II di Spagna (grande ammmiratore dell’artista) nel 1570, e da allora era sempre rimasto a Madrid. Gli sportelli aperti mostrano il peccato originale e il Paradiso terrestre, l’inferno e, al centro, una scena complessa in cui troneggia un carro di fieno, simbolo dell’avidità dell’uomo, e tutto attorno vari personaggi intenti a lottare, ingannare, ingegnarsi per arraffarne un po’. È una galleria di personaggi che saranno ricorrenti nella pittura di genere: il ciarlatano, il frate ghiottone, l’omicida, i suonatori, affiancati alle visioni angelicodemoniache tipiche dell’artista.
Analoga ambientazione campestre per uno dei più noti dipinti di Pieter Brueghel il Vecchio (Breda 1525/1530 circa - Bruxelles 1569), Il ladro di nidi (1568); uno spazio arioso che si riempie di luce sullo sfondo, lasciando un po’ in ombra i due protagonisti in primo piano, un contadino che indica sorridendo un ragazzo che cade da un ramo nel tentativo di rubare le uova di un uccello, ma che non si rende conto di avere egli stesso un piede quasi in fallo.

