«Michelagnolo iMitò
l’andar di luca,
coMe può vedere ognuno»

Nei primi mesi del 1499 Signorelli sta dipingendo il chiostro benedettino, quando viene contattato dall’Opera del duomo di Orvieto(36) per affrescare le vele della volta - iniziate nel 1447 da Beato Angelico e lasciate incompiute(37) - e le pareti della Cappella nova (o di San Brizio).

Il cortonese interrompe la grande impresa del chiostro olivetano, chiamato dall’influente Antonio Albèri, “auditor sacri palatii” e arcidiacono della cattedrale di Orvieto, protetto da Francesco Todeschini Piccolomini, cardinale di Siena(38). Albèri, molto probabilmente, indica al pittore un testo dell’umanista Giovanni Sulpizio da Veroli(39) per l’invenzione iconografica degli affreschi della cappella orvietana(40). La fonte di riferimento è Iudicium Dei supremum de vivis et mortuis (stampato a Roma nel 1506, ma scritto qualche anno prima)(41), un poema in esametri di soggetto religioso, che riprende gli argomenti dei Novissima, narrando gli eventi dell’umanità tra la fine del mondo e il Giudizio universale, con l’apoteosi della salvezza del genere umano portata dall’incarnazione di Cristo. A sua volta, Iudicium Dei attinge a suggestioni letterarie presenti nelle opere di Virgilio, di Agostino, alla Legenda Aurea, a libri vetero e neotestamentari, con citazioni scelte della letteratura classica e medievale, dei manuali teologici e della liturgia, in un connubio tra scene poetiche e religiose.


Predica e fatti dell'Anticristo (1499-1502); Orvieto (Terni), cattedrale, Cappella nova (o di San Brizio).