La prima definizione di genio è quella di “intelligenza straordinaria”. Segue quella di “spiccata attitudine e versatilità in un’arte o una professione”, ma anche quella di “carattere, indole, con riferimento ad un patrimonio ereditario, a una tradizione”. In quale momento, dunque, questo termine può riferirsi con correttezza a un artista, trasformandolo da semplice artefice a qualcosa di più, e quando si può parlare veramente di “genio” nella storia dell’arte? A Treviso si sono posti l’arduo compito di rispondere a queste domande attraverso un caso specifico, difficile e tutt’altro che risolto: El Greco.
Parlare del cretese Domenikos Theotokopoulos (Candia - l’attuale Heraklion - 1641 - Toledo 1614, detto appunto El Greco in Spagna proprio per la sua
provenienza) senza scadere nel banale dal punto di vista critico e nel deludente dal punto di vista storico è tanto più difficile quando si tiene
presente la rivalutazione che il pittore ha subito negli ultimi decenni e la vicinanza a un certo gusto contemporaneo, che dell’ermetico pittore
greco/veneto/spagnolo ha fatto un’icona spesso fraintesa e “modernizzata” a tutti i costi.
Arduo decidere se sia stata maggiore l’influenza degli italiani sul pittore greco o viceversa
Ecco, allora, il primo merito della rassegna trevigiana, cioè quello di riportare il pittore alla sua dimensione originaria, scegliendo di non puntare su una catalogazione antologica (impossibile e fuor di contesto, se si è ben consci che le opere più eclatanti dell’autore sono in Spagna e tutte inamovibili), ma sulla delicata ricostruzione delle sue origini e del suo rapporto con la patria e con l’Italia.