il paesaggio della grafica italiana mutò significativamente.
Nel corso del decennio, la vertiginosa espansione dei consumi e il progressivo emergere delle contraddizioni insite nel rapido processo di industrializzazione del paese portò, anche nel design grafico, all’emergere di una diversa coscienza del ruolo del progettista.
Il delinearsi della società dei consumi costituì per i grafici una sfida a interpretare il senso di nuovi bisogni e desideri. Persino un’azienda come l’Olivetti cambiò il proprio approccio pubblicitario, come si vede nella campagna di lancio della celebre portatile Valentine, presentata non più come uno strumento tecnico per l’ufficio, ma come un oggetto di consumo individuale per il tempo libero. Tale passaggio dalla sfera organizzata della produzione al tempo liberato dal lavoro fu scelto come tema della XIII Triennale di Milano, un allestimento spettacolare segnato da influenze provenienti dalla Pop Art, alla cui realizzazione i grafici parteciparono insieme ad architetti e artisti.
In questo nuovo clima culturale si colloca il lavoro di un progettista come Giancarlo Iliprandi (1925), che diede un contributo importante all’affermarsi del concetto di direzione artistica, anche con la fondazione dell’Art Directors Club di Milano nel 1966. In questi anni, la figura dell’art director, in grado di coordinare il lavoro di professionisti con competenze diverse, cominciava a farsi strada nel mondo dell’editoria periodica e in quello della pubblicità, dove del resto anche i fotografi, grazie ai progressi nella riproduzione a stampa dei colori, guadagnavano un nuovo ruolo. Tra di essi, Serge Libiszewski (1930) e Aldo Ballo (1928-1994) furono fra i più assidui collaboratori dei grafici milanesi.