Nata nell’ambito di un’occasione associativa dell’AIAP, a opera di un gruppo di progettisti che sono stati negli ultimi decenni fra i più attivi nello sforzo di sistemazione teorico-critica della disciplina - fra loro Giovanni Anceschi (1939), Giovanni Baule (1952), Gianfranco Torri (1937) e Giovanni Lussu (1944) - la Carta era il punto di arrivo di tutte le riflessioni sulla pubblica utilità e partiva dalla convinzione che la grafica si sarebbe trovata nel nuovo millennio «in posizione strategica dentro la cultura del progetto»(21).
Da un lato, il documento auspicava un riconoscimento più ampio dell’identità professionale del progettista grafico nel quadro del sistema della comunicazioni di massa, dominato in quegli anni dalla televisione e, in particolare, dall’ingresso in scena della tv commerciale. Dall’altro lato, proiettava lo sguardo verso il futuro, tentando di gettare un ponte fra la tradizione professionale ormai consolidata e la rivoluzione digitale appena avviata.
Apparsa nello stesso anno in cui la caduta del muro di Berlino sanciva la fine della guerra fredda e il trionfo della globalizzazione economica sotto il segno del neoliberismo, la Carta appare oggi come una riflessione importante nel quadro dei profondi cambiamenti destinati a caratterizzare l’ultimo decennio del secolo scorso: da una parte, l’avanzata inarrestabile del marketing non solo nella cultura di impresa ma anche nella comunicazione delle istituzioni, secondo una logica di “rimescolamento” fra pubblico e privato(22) e, dall’altra, il dilagare della tecnologia digitale, con l’introduzione del World Wide Web e la progressiva democratizzazione degli strumenti di produzione della comunicazione visiva.

