XX secolo. 1
Testi e parole nell’arte contemporanea

parole come figure

Qual è il ruolo delle parole, dei testi, nell’arte del nostro tempo?
Dipinta o scolpita la parola si è ritagliata un posto nelle arti visive nei modi più vari, da quello proprio di un elemento decorativo a quello di segno posto al servizio di un significato complesso.

Michele Dantini

Una piccola tavola bianca ci attende all’inizio della stagione poveristica di Boetti. Ha un titolo evocativo: I vedenti (1967). Non sappiamo bene se chiamarla pittura, scultura o altro: della prima ha la bidimensionalità, della seconda il volume. Perdipiù Boetti prevede che stia a terra, come un’installazione di foggia minimalista, dalla forma solida regolare, senza piedistallo. Le dimensioni sono contenute, ma non le ambizioni. I vedenti vale come definizione dello sguardo artistico e insieme come avvertimento. L’oggetto che ci sta di fronte non coincide con l’opera, non più di quanto la carta o l’inchiostro tipografico esauriscano il senso della poesia o del romanzo che stiamo leggendo. L’oggetto concreto è qui un semplice supporto dell’“idea”, come la chiama Boetti. 

I vedenti si gioca su un’inversione sensoriale. Con la scritta incisa, Boetti si rivolge a coloro che vedono. Tuttavia questa stessa scritta imita o meglio reinventa l’alfabeto Braille per non-vedenti. La vista di cui parliamo coincide dunque con la cecità? In qualche modo, sì. Coincide con la vista interiore di chi, privo di occhi, ricorre alle dita per “leggere” il mondo, ed esplora il mondo in modi più accorti e penetranti. La riflessione boettiana sul rapporto tra vista e tatto rimanda a pittori come Rembrandt o Picasso, l’uno e l’altro pronti a riconoscere che la “vista” di cui si avvale l’artista deve oltrepassare il senso ottico comune, ed equivale al “tatto” del non-vedente appunto, adatto alle tenebre non meno che alla luce. La tradizione del Novecento che Apollinaire aveva chiamato “orfica”, dal nome del leggendario poeta greco Orfeo, aveva inoltre insistito sul primato dello sguardo interiore. Nei Vedenti, Boetti si dichiara erede di Klee, Duchamp e Picabia. 

Quest’interpretazione risulterebbe eccessivamente letteraria se non ci riferissimo alle caratteristiche concrete dell’opera. I vedenti è un monocromo bianco: la superficie in gesso è trapassata da Boetti in un modo che richiama i Buchi di Fontana e, al pari dei Buchi, sperimenta territori intermedi tra pittura e scultura.


Alighiero Boetti, I vedenti (1967).