Anni Cinquanta, Brasile. Come in Italia, si vivevano gli anni della rinascita economica, del sogno del progresso tecnico-industriale, dello sviluppo culturale e scientifico. Lasciatisi alle spalle la dittatura di Getulio Vargas, con all’orizzonte un nuovo colpo di Stato che nel 1964 vedrà i generali salire al potere per un ventennio (da Castelo Branco fino a De Oliveira Figueiredo, 1985), la parentesi politica di Juscelino Kubitschek - con il suo programma di “desenvolvimento” e il suo slogan «Cinquant’anni in cinque» - ispirava momenti di euforia e di entusiasmo creativo.
Nel paese erano stati gli anni Venti a rappresentare il primo eroico e fondamentale momento di rottura con il passatismo culturale e con l’accademismo artistico di derivazione coloniale-europea. Il dibattito artistico e letterario era esploso con l’inaugurazione della Semana de Arte Moderna a San Paolo nel 1922, quando lo spirito avanguardista e la nuova poetica modernista trionfavano proclamando la necessità di svecchiare la cultura brasiliana, riscoprendo la tradizione e la storia locale e rigettando la dipendenza dai circoli culturali d’oltreoceano. Il Manifesto antropófago, firmato nel 1928 dal poeta Oswald de Andrade, tra i fondatori del modernismo brasiliano, recitava: «Figli del sole, madre dei viventi. Trovati e amati ferocemente con tutta l’ipocrisia della nostalgia, dagli immigrati, dai trafficanti e dai touristes. Nel paese del cobra grande. È perché non abbiamo mai avuto grammatiche né collezioni di vecchi vegetali. E non abbiamo mai saputo cosa fosse urbano, suburbano, di frontiera e continentale. Pigri nel mappamondo del Brasile. Una coscienza partecipante, una ritmicità religiosa. Contro tutti gli importatori di coscienza in scatola. L’esistenza palpabile della vita. E la mentalità pre-logica che il Sig. Lévy-Bruhl studierà. Vogliamo la Rivoluzione Caraibica ». Rigettando l’idea di una periferia che doveva vivere di luce riflessa del fermento culturale delle grandi capitali europee, gli artisti si ribellavano contro gli importatori di una cultura preconfezionata, in scatola, e promuovevano una nuova indipendenza e libertà creativa, capace di cannibalizzare la cultura europea, per digerirla e metabolizzarla in qualcosa di nuovo.
