Secondo Isidoro di Siviglia (560 circa - 636), autore della prima enciclopedia dell’era cristiana(1), le lettere che compongono le parole sono segni delle cose esistenti. Anche senza suono sono in grado di comunicare silenziosamente il pensiero e l’opinione degli autori assenti. La scrittura è così intesa come un linguaggio visibile, che trasmette messaggi alla mente attraverso gli occhi, a prescindere dal suono e dalla pronuncia che vengono attribuiti alle singole lettere e alle parole. Nel primo Medioevo la diffusione dei manoscritti è un fenomeno legato all’idea che la lettura sia un’attività finalizzata alla salvezza dell’anima, perché nei testi sacri si possono trovare le verità della religione. Nel corso del tempo prende corpo anche una specie di trasmissione di tipo simbolico, dove i capilettera danno vita ad articolate figure miniate e il testo è configurato in maniera da suggerire metafigure geometriche o forme di croci.
A partire dal VI secolo l’abitudine alla lettura, nei monasteri, porta a considerare la scrittura un’altra valida manifestazione del linguaggio rispetto alla trasmissione orale. Per questa nuova possibilità, nell’alto Medioevo, la lettura dei monaci è intesa come fosse un’ulteriore interpretazione del testo attraverso le glosse(2) (sia interlineari, sia marginali), con commenti e note che tengono sempre aperta la struttura del testo, mai definitivamente chiusa e continuamente ampliabile dagli utenti con nuove conoscenze e intuizioni, dove anche i lettori registrano le loro riflessioni. In questa visione, prima il copista e poi il lettore sono da intendere come ricostruttori di senso, dove viene sempre più a strutturarsi una costruzione mentale, e dove viene data molta importanza all’arte del guardare e ai segni grafici, intesi come sottili depositari di significato.
I segni grafici sono intesi come sottili depositari di significato
