Lo sviluppo delle relazioni tra l’Etiopia e l’Occidente nel XV secolo ha avuto profonde ripercussioni sull’arte etiopica che di questi ripetuti contatti porta evidenti segni in tutta la sua produzione. L’Etiopia diventa cristiana nel IV secolo e inizia a rifornirsi dei propri oggetti liturgici in Egitto e a Gerusalemme. I veneziani vantano una secolare attività marinara e grazie alla loro presenza a Creta, luogo di produzione di icone destinate alle comunità cristiane orientali, sono nella posizione migliore per entrare in contatto con gli etiopi.
La storia ha conservato poche tracce dei pittori europei che si sono messi in cammino verso l’Etiopia. Molti di loro non hanno mai raggiunto la destinazione a causa delle condizioni estreme del viaggio; altri, che vi sono arrivati, non hanno fatto più ritorno nella terra d’origine poiché era usanza che il re d’Etiopia, un po’ per comprensibile sospetto verso gli stranieri e un po’ per necessità di artigiani qualificati, dopo averli ricompensati con ricchezze e privilegi, non li lasciasse più ripartire.
Nel 1480 giunge alla corte del re Eskender (1478- 1494) «Miser Nicolo Branchalion venetiano» (Nicolò Brancaleone) assieme ad altri quattro compagni, secondo la testimonianza di Giovanni Battista da Imola che lo incontra durante un viaggio in Etiopia nel 1482-1483(1).
