Con un gesto semplicissimo, nel 1943 l’artista uruguaiano Joaquín Torres García aveva banalmente ribaltato l’immagine dell’America Latina, capovolto la prospettiva della convenzionale immagine del planisfero che già da prima dei tempi di Mercatore la nostra cultura aveva imposto sul mondo, creando un cortocircuito nell’immaginazione dell’osservatore. La sua operazione artistica era assai poco scontata in realtà, considerando che tutt’oggi lo sguardo occidentale e la prospettiva eurocentrica sul mondo continuano a restare imperanti e che l’idea di mettere in discussione l’orientamento della mappa del mondo pare essere un’operazione macchinosa e totalmente innaturale.
Come quella del Sud del mondo, anche l’invenzione dell’Oriente è una mera congettura dell’Occidente, un progetto della civiltà europea, frutto delle mire espansioniste del Vecchio (e poi del Nuovo) mondo, come la teoria postcoloniale ha ampiamente dibattuto e insegnato. Nel 1978 nel suo più celebre saggio, Orientalism, Edward W. Said scriveva: «L’orientalismo non è solo una fantasia inventata dagli europei sull’Oriente, quanto piuttosto un corpus teorico e pratico nel quale, nel corso di varie generazioni, è stato fatto un imponente investimento materiale. Tale investimento ha fatto dell’orientalismo, come sistema di conoscenza dell’Oriente, un film attraverso il quale l’Oriente è entrato nella coscienza e nella cultura occidentali»(1).
