A furia di pensare al suo amico scarabeo - l’insetto che ha una struttura organizzativa vicinissima a quella di un computer - è riuscito ad averne in testa lo stesso schema tecnologico, bidimensionale e tridimensionale. Jan Fabre ha un’idea al giorno e la capacità di vederla realizzata avvalendosi dell’aiuto di chi lo circonda, non prima però di aver condiviso con i suoi collaboratori il progetto di questa idea, disegnato con precisione su un foglio con la sua inseparabile biro blu, la più semplice delle penne, in un certo senso la più affascinante, la stessa che aveva ammaliato anche Alighiero Boetti. Anche Rubens, una volta affermato, aveva dei pittori in studio che lo aiutavano. Anche Andy Warhol.
Fabre si è lasciato andare al fiume della vita, la sua non è arte concettuale bensì frutto diretto delle esperienze vissute, sia fisiche sia mentali.
Visita il mondo classico e il Rinascimento, frequenta la grande pittura fiamminga, vive nel terzo millennio d.C., ma la sua forza propulsiva viene da
più lontano, molto più lontano di seimila anni fa, quando l’uomo inventò la ruota. Più lontano di cento milioni di anni fa, allorché gli scarabei
conservavano ancora all’interno delle loro corazze il suono del Big Bang. Se si accosta l’orecchio al dorso di uno scarabeo, questo suono c’è ancora.
Guardatelo questo scarabeo, vedrete una luce particolare, diversa dalle altre, cangiante. È come il colore del mare e fa pensare al mistero
dell’universo, specialmente all’alba, quando regna l’ora blu e la luce è ancora quella della luna. L’aspetto primitivo gli toglie il senso del tempo e
gli consente di viaggiare a suo piacimento, avanti e indietro nei millenni. L’ opera di Jan Fabre, anch’essa priva del senso del tempo, rischia di
durare nel tempo.
