Dei rapporti tra cibo, cucina e arte si può trattare in molti modi, raggruppabili a mio parere in tre grandi ambiti. Tutti e tre intrattengono una relazione profonda con la visione e con le arti visive. Descriviamoli brevemente, con l’avvertenza che in taluni casi i confini tra essi possono essere fragili e superabili. Il primo, più vasto e studiato è l’ambito del cibo nell’arte, cioè in ciò che già viene considerato arte. Si tratta della realizzazione di opere d’arte e di performance attraverso il cibo, utilizzato come strumento di rappresentazione e di narrazione. Da sempre il cibo è oggetto di attenzione da parte degli artisti. In tutte le arti - dalla letteratura alla poesia, dalla scultura al teatro - si trovano riferimenti agli alimenti e alla cucina; tuttavia, sono proprio le arti visive ad avere attinto a piene mani dalla materia alimentare. Non è un caso: la visione del cibo suggerisce ed evoca un universo di significati. Dalle scene di caccia, di convivio e banchetto dell’arte antica e medievale alle nature morte moderne fino alle installazioni e alle performance contemporanee, il cibo - grezzo o cucinato - gioca molteplici ruoli: testimone dell’effimero, indice di piaceri voluttuosi o di stenti, simbolo dei legami tra eros e tanathos, di ritualità comunitarie, e molto altro. Nell’ «epoca della riproducibilità tecnica», per dirla con Benjamin, la presenza di immagini di cibo nelle opere d’arte visiva è addirittura esplosa: non si contano più fotografie e film in cui il cibo e la cucina sono protagonisti. In questo primo, grande ambito, il cibo è immaginato e rappresentato “more metaphorico” perché è indubbio che il cibo narrato, dipinto, filmato o fotografato non si mangia né si gusta realmente. Ci si nutre certo anche di immagini e di parole, ma in un senso diverso; la funzione primaria del cibo è quella di essere consumato, assimilato realmente.
alla poesia, dalla scultura al teatro -
si trovano riferimenti agli alimenti
e alla cucina

