Dipingiamocon la lingua di Delacroix

Un approfondimento sulla mostra londinese
Gloria Fossi

«Dipingiamo tutti con la lingua di Delacroix» diceva Cézanne, frase che vale come viatico, sulla parete della prima saletta della mostra londinese, fondamentale per apprezzare l’opera del maestro francese, ma soprattutto per chiarire un luogo comune. Perché Delacroix è «il vero pittore del XIX secolo», come Baudelaire, che lo aveva conosciuto nel 1845, diceva già alla fine degli anni Trenta? Perché fu così importante per gli esordi della pittura moderna? 

Perché Gauguin, nel suo «petit monde de camarades» (riproduzioni di grandi maestri portate con sé a Tahiti), aveva la fotografia di almeno un Delacroix, che replicò in una Natura morta (1887, sala 6), e in un autoritratto? Perché Cézanne, a trent’anni e più dalla morte di Delacroix, gli dedicò un piccolo capolavoro, con rapidi tocchi, L’apoteosi di Delacroix (sala 5)? E in che senso una tela imponente di Courbet (Giovane donna che sistema fiori, 1862, sala 3), può accostarsi a Cesta di fiori di Delacroix (1848, nella stessa sala)? Quanto gli deve Bazille, scomparso giovane in guerra, per la Giovane con peonie (1870, sala 3)? O per La toilette (sala 2), ispirata agli interni arabi di Delacroix che, peraltro, non essendo musulmano, non poté frequentare in Marocco alcun ambiente femminile ma solo riprendere donne ebree nelle loro dimore? Il senso della rassegna è rimarcato fin dall’ingresso, che ci accoglie con una riproduzione di Omaggio a Delacroix (Musée d’Orsay), dipinto da Henri Fantin-Latour dopo la morte dell’amico, avvenuta in una torrida Parigi semideserta, nell’agosto 1863, nella casa-atelier oggi Musée Delacroix. La tela, esposta al Salon del 1864, non è solo un ritratto collettivo ma esprime il sentimento di riconoscenza nei confronti dell’artista, vicino al quale, oltre a Fantin-Latour, stanno, fra gli altri, Baudelaire, Whistler, Manet. Solo dopo anni gli amici ottennero un monumento per il pittore, e fu allora che nacque l’Apoteosi di Cézanne, non priva di cenni satirici verso le “apoteosi” accademiche: Delacroix, alla presenza di Cézanne, Monet, Pissarro, forse Renoir, è portato in cielo nudo, come un Cristo deposto. Per Cézanne e gli altri la sua tavolozza era la più ricca di Francia; solo Delacroix aveva capito, secondo Renoir, il vero senso della decorazione (basti pensare alla Galerie d’Apollon del Louvre, o ai dipinti per Saint-Sulpice). Delacroix rivoluzionò l’“accademia” con un colorismo preimpressionista e un metodo, il “flochetage”, che accostava piccoli tocchi di colori contrastanti, creando riflessi ed effetti inediti di profondità.


Il maestro francese affascinava anche per la sua capacità drammatica di esprimere la vita col gesto e col colore


Paul Cézanne, Apoteosi di Delacroix (1890-1894), Parigi, Musée d’Orsay.