Sguardi, dardi,
berSagli

In apertura del saggio sul Surrealismo e la pittura, pubblicato da Breton nel 1928, troviamo l’evocazione dell’«occhio selvaggio ». L’occhio d’artista, afferma Breton, si mantiene allo stato di natura: caccia «per strada» i suoi motivi, ma soprattutto li insegue e li preda nelle profondità della psiche individuale, dove coabitano pulsioni e terrori. È per questo, aggiunge lo scrittore, che i musei hanno perso importanza: dispiegano tesori di un’immaginazione ormai acquisita e addomesticata. Il tema dello sguardo ha una particolare importanza per Miró, che vi si riferisce più volte con toni oscillanti tra il faceto e (più spesso) l’eroico. Nell’Autoritratto del 1919, lo abbiamo già visto, propone se stesso nelle vesti di Pantocrator, lo sguardo fermo e immutabile. In Madame K. si fa beffe dello sguardo maschile sessualizzato, predeterminato da leggi naturali, che paragona a una freccia inevitabilmente rivolta ai “genitalia” femminili. Nel Cacciatore del 1924, noto anche come Paesaggio catalano, sguardo e freccia si presentano assieme.