«Bisogna avere il massimo rispetto per la materia. Essa è il punto di partenza. Detta l’opera. La impone». Questa dichiarazione di Joan Miró è di fondamentale importanza per comprendere le radici generative del suo straordinario metodo di esplorazione e scoperta dei territori dell’immaginario. A differenza di molti altri esponenti del movimento surrealista - che si sono ispirati alla letteratura e all’iconografia figurativa del fantastico, e che hanno fatto emergere suggestioni oniriche e fantasmi dell’inconscio con le tecniche dell’automatismo psichico - l’artista catalano ha sempre considerato come stimoli creativi essenziali le potenzialità espressive della realtà concreta dei materiali: non solo quelli pittorici e plastici tradizionali ma anche, in particolare, quelli di ogni genere prelevati dal contesto quotidiano, elaborati attraverso una continua e inesauribile tensione sperimentale. Ed è proprio per mettere in evidenza soprattutto questa dimensione operativa che la mostra al Mudec - Museo delle culture di Milano si intitola La forza della materia.
Con la messa in scena di circa centotrenta opere, tra pitture, disegni, sculture e incisioni (provenienti dalla Fundació Miró di Barcellona e dalla
collezione della famiglia), è stato allestito un percorso espositivo che documenta le fasi più significative della ricerca di Miró dalla fine degli anni
Trenta agli anni Ottanta del secolo scorso.
Nella parte iniziale viene messa a fuoco l’evoluzione del linguaggio dell’artista che, trasferitosi a Maiorca (era nato a Barcellona nel 1893), cerca di
contrastare le preoccupazioni angosciose legate alle tragedie belliche. In contrapposizione al ciclo precedente - quello delle Peintures sauvages
(1934-1938), carico di incubi mostruosi e allucinati -, nascono le visioni di immaginifica poeticità che hanno come principali protagonisti aerei e
fluttuanti stelle, gli uccelli e le figure femminili, elementi che diventeranno i più tipici del suo vocabolario iconografico.