Studi e riscoperte
Monet nella cultura artistica italiana

tra entusiasmo
e scetticismo

L’opera di Monet non ha ricevuto un plauso immediato nel nostro paese. Nonostante una minoranza di voci come quelle di Diego Martelli, Vittorio Pica e Ardengo Soffici ne avessero colto il valore nell’ambito dell’arte impressionista, resa nota nella prima mostra fiorentina del 1910 ma riconosciuta solo tardivamente negli ambienti ufficiali.

Maria Teresa Benedetti

Prima di essere riconosciuta come smagliante testimonianza della poetica impressionista e dei suoi fecondi sviluppi, l’opera di Claude Monet ha incontrato in Italia notevoli resistenze.

Vanno escluse da una diffusa incomprensione alcune testimonianze precoci e illuminanti, come quella di Diego Martelli (1838-1890), giornalista, critico e studioso fiorentino. Nel 1879, in una conferenza sull’impressionismo al Circolo filologico di Livorno, egli definisce lucidamente il fenomeno impressionista e cita Monet come «uno dei paesisti più grandi di Francia»(1).

Vittorio Pica (1856-1930), giornalista vissuto a lungo a Parigi, segnala, in polemica con il giovane Ugo Ojetti, la presenza di Monet alle prime Biennali veneziane (dal 1897)(2), e nel 1907 traccia sulla rivista “Emporium”(3) un attento profilo dell’artista. L’anno successivo Pica, nel volume dedicato all’impressionismo(4), opera un’acuta valorizzazione della pittura tarda di Monet, individuando l’interessante estensione temporale dell’originaria “poetica dell’attimo”. L’artista manifesta infatti l’aspirazione a dipingere il divenire, il senso più profondo del tempo nel suo scorrere sulle superfici.


«La materia si offre tremante all’occhio e alla mente non come qualcosa di definito e di fermo, sibbene come un’energia diffusa»
(Ardengo Soffici)


Emerge inoltre l’appassionata difesa di Ardengo Soffici, critico e artista dallo smagliante piglio satirico, vissuto dal 1901 al 1907 a Parigi negli ambienti vicini all’arte di avanguardia. Tornato nella nativa Toscana, Soffici diffonde la conoscenza del movimento francese, considerato novità scardinante, ricca di futuro(5). A lui si affiancano Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, dal 1908 direttore dell’importante periodico “La Voce”, dedicato alla diffusione di nuove idee. Nel 1910 il gruppo, con l’aiuto di Maurice Denis, presenta al Lyceum di Firenze la Prima mostra italiana dell’impressionismo e della scultura di Medardo Rosso, esponendo due opere di Monet(6). Occasione, quest’ultima, per tessere un elogio del pittore, riconosciuto come compiuta incarnazione del valore dell’impressionismo. «La materia si offre tremante all’occhio e alla mente non come qualcosa di definito e di fermo, sibbene come un’energia diffusa»(7).