Prima di essere riconosciuta come smagliante testimonianza della poetica impressionista e dei suoi fecondi sviluppi, l’opera di Claude Monet ha incontrato in Italia notevoli resistenze.
Vanno escluse da una diffusa incomprensione alcune testimonianze precoci e illuminanti, come quella di Diego Martelli (1838-1890), giornalista, critico e studioso fiorentino. Nel 1879, in una conferenza sull’impressionismo al Circolo filologico di Livorno, egli definisce lucidamente il fenomeno impressionista e cita Monet come «uno dei paesisti più grandi di Francia»(1).
Vittorio Pica (1856-1930), giornalista vissuto a lungo a Parigi, segnala, in polemica con il giovane Ugo Ojetti, la presenza di Monet alle prime
Biennali veneziane (dal 1897)(2), e nel 1907 traccia sulla rivista “Emporium”(3) un attento profilo dell’artista. L’anno successivo Pica, nel volume
dedicato all’impressionismo(4), opera un’acuta valorizzazione della pittura tarda di Monet, individuando l’interessante estensione temporale dell’originaria “poetica dell’attimo”.
L’artista manifesta infatti l’aspirazione a dipingere il divenire, il senso più profondo del tempo nel suo scorrere sulle superfici.
(Ardengo Soffici)