Giusto a metà strada fra le Gallerie dell’Accademia e la Collezione Peggy Guggenheim si affaccia su campo San Vio il palazzo Cini, sede della Galleria di palazzo Cini. Un edificio sobrio, fondato dai Loredan nel XVI secolo, con un affaccio sul Canal Grande. Un luogo «nascosto in evidenza», come lo definisce Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di storia dell’arte della Fondazione Giorgio Cini e conseguentemente della galleria stessa. Nascosto in quanto niente affatto appariscente e come estraneo alle rotte mentali del turismo tradizionale, in evidenza perché collocato su uno dei percorsi più frequentati della città. Ma soprattutto sorprendente: un angolo di Toscana con un’ampia nicchia ferrarese in terra veneta.
Ma andiamo con ordine. Impossibile raccontare questa collezione senza un cenno al suo fondatore, Vittorio Cini, uno degli artefici della moderna
identità di Venezia. Nato a Ferrara nel 1885, Cini è stato molte cose: fa studi commerciali in Svizzera, lavora in banca a Londra, si specializza in
imprese di costruzione di infrastrutture, nei trasporti e soprattutto eccelle nella capacità di integrare fra loro attività diverse. Partecipa alla
prima guerra mondiale come volontario, poi sposa Lyda Borelli, diva del muto, dalla quale ha quattro figli. Si dedica ad attività finanziarie, diventa
armatore, fonda società di navigazione e assicurazioni; negli anni Trenta ha ormai scelto Venezia come città di elezione, è in carica nei consigli di
amministrazione di ventinove società e ha il controllo dei traffici marittimi nell’Adriatico. Con Giuseppe Volpi contribuisce alla fondazione del porto
industriale di Marghera, poi si occupa di radiotelefonia, ferrovie e sviluppo del tessile. Fonda la Ciga (Compagnia italiana grandi alberghi) ed è
commissario straordinario e poi presidente dell’ Ilva (anche lui...). Diventa senatore, poi nel 1936 commissario dell’Esposizione universale di Roma (E
42). Nel 1940 ottiene il titolo di conte di Monselice (dove possiede un castello) ed è ministro delle Comunicazioni (si dimette nel giugno del 1943 per
divergenze con Mussolini). Nel settembre dello stesso anno è arrestato dalle SS e trasferito a Dachau; il figlio Giorgio riesce (con molto denaro) a
farlo trasferire in una clinica tedesca. Tornato in Italia finanzia il Cln. Dopo la fine della seconda guerra mondiale si impegna soprattutto
nell’industria idroelettrica.