Arte contemporanea


Shanghai Project

Cristina Baldacci

Non è più tempo di 2001: Odissea nello spazio. Archiviato il Kubrick visionario e fantascientifico - visto che la svolta del millennio ce la siamo ormai ben lasciata alle spalle -, oggi si guarda, come spronano a fare i due curatori Yongwoo Lee e Hans Ulrich Obrist, al “2116”, con un orizzonte tutto terrestre e rivolto alla Cina.

Il futuro sostenibile da qui a cent’anni è il tema della prima edizione di Shanghai Project, manifestazione che inaugurerà il prossimo 5 settembre nello Shanghai Himalayas Museum e in altre sedi cittadine. Il tema non è nuovo, ma di certo sempre più urgente sia a livello globale che locale, soprattutto in uno stato in inarrestabile crescita come quello cinese e in una metropoli, tra le più popolose e inquinate al mondo, come Shanghai.


Sostenibilità, non solo ambientale, è il tema della prima edizione di Shanghai Project


Il XXII secolo è già qui, sembrano volerci dire Obrist e Yongwoo Lee, il direttore dello Shanghai Himalayas Museum, sede principale del progetto (ma anche ideatore della fortunata Biennale di Gwangju), per sensibilizzarci a pensare seriamente al domani fin da subito. Non con occhio europeo-centrico ma spostato a Oriente. Perché tra un secolo la Cina non sarà più la nuova frontiera dove tutto è possibile - anche un’architettura smisurata e ibrida come lo Shanghai Himalayas Center, al cui interno si trova l’omonimo museo, progettato da Arata Isozaki -, ma il “caput mundi”.