Ogni attività progettuale è sempre in prima linea, perché interviene nella vita quotidiana, e indica a tutti noi percorsi concreti e soluzioni ai problemi legati all’abitare: dalla città alla singola dimora. Reporting from the Front sembra quasi un bollettino di guerra, ma queste non sono le intenzioni né del direttore della 15. Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia, Alejandro Aravena, né del presidente, Paolo Baratta.
Dobbiamo dire anche noi che, a fronte di una sorta di pregiudizio ideologico nei riguardi di un’affermazione “molto politica” - che d’altro canto da
sempre sta a fondamento del fare e del pensare architettura, ovvero un pensiero comune, perché comunque tutti gli architetti hanno sempre avuto
l’ambizione non solo di essere “autori”, ma soprattutto di esercitare una professione al servizio degli “altri” -, abbiamo poi scoperto una biennale di
straordinaria apertura verso il “mondo delle cose” e, in modo particolare, verso esperienze reali, di qualità, che potrebbero essere anche modelli
comportamentali, e non solo espressivi, da trasferire altrove.
Ecco, questa è la grande novità della biennale; come sottolinea lo stesso Aravena: «L’architettura si occupa di dare forma ai luoghi in cui viviamo. Questi spazi comprendono case, scuole, uffici, negozi e aree commerciali, musei, palazzi, fermate dell’autobus, metropolitane, piazze, parchi, strade, marciapiedi, parcheggi. Le forme che assumono possono migliorare o rovinare la vita delle persone. Ecco, questa è la mia, ma direi la nostra Biennale, laica, aperta, un viaggio alla riscoperta del significato ultimo dell’architettura ». In sostanza, e ciò che abbiamo visto corrisponde alle intenzioni del direttore, protagonista è «l’architettura in azione», come precisa il presidente Baratta, «come strumento della vita sociale e politica, dove ci si chiede di coniugare a un più alto livello l’agire privato e le pubbliche conseguenze».