Protestare e costruire, negare e creare. È quanto ci aspettiamo dalla politica dei nostri giorni, ma è soprattutto quanto avvenuto nella Germania dei primi anni dopo la prima guerra mondiale. Colpita al cuore dalla sconfitta, scioccata dalla disorganizzazione del Reich (i morti di fame non si contavano più) e dalla dissoluzione dei valori bismarckiani, fu comunque capace di esprimere modelli politici e movimenti artistici che ancora oggi sono un punto di riferimento. Il dadaismo, innanzitutto, con la sua critica radicale della pittura e scultura convenzionale del tempo, che affrontò temi scomodi, con immagini che turbano perfino la nostra sensibilità - dai mutilati alle città alienanti e alienate, alla pornografia più spicciola.
Basti guardare uno dei quadri degli anni Dieci e Venti di George Grosz (1893-1959), fondatore di più riviste dissacranti e di un gruppo radicale come la
Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività). Purtroppo quei quadri sono piuttosto rari, perché i nazisti vollero fin da subito mettere a tacere le voci non
allineate alle loro idee, inserendo Grosz nella lista degli artisti “degenerati”, distruggendo non poche delle sue opere e obbligandolo a riparare negli
Stati Uniti, dove la sua verve creativa si attenuò.
Così quando arriva in asta un’opera di Grosz datata fra il 1915 e il 1930, i valori salgono alle stelle. L’acquerello Orgia del 1922 è popolato da scene
tipicamente disdicevoli: una donna che fa i suoi bisogni in un vaso in mezzo a una sorta di salotto, un borghese che bacia una prostituta, un altro che
fuma come un turco e ha già bevuto una seconda bottiglia di una bevanda alcolica.