Forse non in molti sanno che la Rivoluzione haitiana - quello straordinario movimento di liberazione portato avanti dagli schiavi neri sulla scia della Rivoluzione francese, che nel 1804 portò Haiti all’indipendenza e a proclamare la prima Repubblica indipendente dell’America Latina, il primo Stato “nero” della storia vudu moderna - fu iniziata e propiziata con un’invocazione vudu e un rituale dedicato agli antenati e agli spiriti ultraterreni che regnano e governano gli equilibri quotidiani e sociopolitici di quella parte dell’isola Hispaniola(1). Come racconta Antoine Dalmas nella Histoire de la Révolution de Saint-Domingue, pubblicata nel 1814, la cerimonia di Bois Caïman è considerata come l’ufficiale atto di inizio della Rivoluzione haitiana: «Un uomo chiamato Boukman, un altro “oungan”(2), il 14 agosto del 1791 organizzò un incontro con gli schiavi nelle montagne del Nord. Questo incontro prese la forma di una cerimonia vudu, nel Bois Caïman, sulle montagne a Nord dell’isola. Pioveva e il cielo era nero di nubi; gli schiavi allora iniziarono a confessare il risentimento per la loro condizione. Una donna incominciò a danzare languorosamente nella folla, posseduta dagli spiriti dei loa(3). Con un coltello in mano, la donna tagliò la gola di un maiale e distribuì il sangue tra tutti i partecipanti all’incontro che giurarono di uccidere tutti i bianchi sull’isola»(4).
La conoscenza di questo dettaglio storico forse incuterebbe ancora più ansia e timore in coloro che, sulla scia della retorica occidentale e di una prospettiva intimamente colonialista, troppo spesso hanno ridotto e ancora oggi continuano tristemente a ridurre l’identità e la cultura di Haiti a uno spaventoso sistema vudu di magia nera e diabolici riti vudu, a un ammasso incivile di disperazione e povertà, senza lasciare spazio a una comprensione e a un’analisi della complessità storica e sociopolitica della sua religione e del suo status.