Nella conferenza La Ligne de vie da lui tenuta nel 1938 al Musée des Beaux-Arts di Anversa, Magritte parla di due momenti chiaramente distinti nella sua opera: «I quadri dipinti negli anni […] 1925-1936 furono […] il risultato della ricerca sistematica di un effetto poetico sconvolgente […]».
In effetti, la sua scoperta, nel 1922, di Canto d’amore (1914) di Giorgio de Chirico ha per lui il valore di una rivelazione. Accostando il calco di una
testa di Apollo antica e un guanto di gomma, Il canto d’amore porta al suo risultato più alto la definizione della bellezza che il surrealismo prendeva
a prestito da Lautréamont; quella che, sotto la penna dell’autore dei Canti di Maldoror, nasceva da «l’incontro casuale di una macchina da cucire e di
un ombrello su un tavolo operatorio».
Magritte surrealista? Vale la pena soffermarsi su questa domanda. «Io sono dunque molto poco “surrealista”». Tale irriducibilità si radica nella storia
del gruppo surrealista belga costituito da Paul Nougé, Louis Scutenaire, Camille Goemans, René Magritte, E. L. T. Mesens et André Souris. Anticipando di
qualche anno una conversione che sarà quella del surrealismo parigino, Nougé e compagni si fanno forti precocemente di un materialismo radicale, che li
porta a denunciare l’automatismo che Breton aveva eretto a modello poetico assoluto del primo surrealismo prima che il movimento entrasse, a partire dal
1927, nella sua fase “raisonnante”, secondo la formula dello stesso Breton: «Una notte del 1936, mi ero svegliato in una stanza in cui avevano messo una
gabbia con un uccello addormentato. Uno stupendo errore mi fece vedere sparito l’uccello nella gabbia e al suo posto un uovo.