Il cavaliere di Bartolomeo Veneto conservato al Fitzwilliam Museum di Cambridge è uno dei numerosi e affascinanti “cold case” della storia dell’arte, uno di quei personaggi dei quali l’identità si è perduta pur restandoci il ritratto. Si tratta di un uomo giovane dal volto pallido e aristocratico vestito con eleganza, un abito ricco di preziosi dettagli quali la bordura di pelliccia, nodi gordiani e un misterioso labirinto ricamati in oro sul tessuto dell’abito. Il copricapo, singolare per foggia, è decorato con uno stilizzato serto d’alloro dorato che, richiamando per via simbolica la corona fogliata classica degli imperatori e dei condottieri, qualifica il personaggio come un valoroso all’antica mentre l’elsa della spada, collocata al centro del petto, rinvia a una sincera e profonda virtù bellica.
Meno esplicita ma altrettanto carica di significato è la magnifica spilla da cappello, in oro e smalto, raffigurante un relitto dall’albero rotto il cui
unico passeggero innalza una fronda di palma in segno di vittoria sulla prua. Qui a stento si legge, su un nastro bianco, la frase: «Esperance me guide»
(La speranza mi guida). Simili oggetti preziosi, veri e propri emblemi caratterizzati dalla compresenza di un disegno e di un’iscrizione, erano assai in
voga agli inizi del Cinquecento come ornamenti maschili capaci di raccontare, con lo status sociale ed economico, anche il gusto, la cultura, le
inclinazioni morali e talora persino la storia personale del proprietario. Per questa peculiare funzione la loro interpretazione non va tanto
rintracciata nelle consuetudini orafe o fra le mode di costume quanto piuttosto nella fiorente letteratura araldica contemporanea.