Un po’ è la tradizione, un po’ la pigrizia di cambiare prospettiva mentale, e non è raro che si perpetuino titoli di capolavori, senza che ci si chieda se siano corretti e se rispecchino il reale soggetto rappresentato. È il caso del cosiddetto Paradiso terrestre di Hieronymus Bosch, che fa parte della serie di quattro sportelli nota come Visioni dell’aldilà. Eppure, già a uno sguardo superficiale, questa denominazione non pare del tutto soddisfacente.
Bosch ha interpretato in modo assai elastico questo soggetto, come dimostrano le ante laterali di trittici celeberrimi quale quello del Giardino
delle delizie o del Giudizio finale di Vienna o, ancora, del Trittico del fieno. Tuttavia, è indubbio che per essere tale, il “paradiso terrestre”
non può non ospitare i suoi principali “inquilini”, ossia Adamo ed Eva che, però, qui non compaiono. Al contrario, il pittore olandese ha dipinto un
verde paesaggio, rigoglioso di piante e di acqua, con una fontana in cima a una collinetta. Uomini e donne nudi (le anime), sono accompagnate da
angeli in veste talare, oppure con tuniche rosse. I messi divini mostrano cortese accondiscendenza. Sembra, infatti, che li invitino a inoltrarsi
fra i boschi e a guardare verso l’alto, dove il paesaggio umido e fecondo scolora verso un cielo diafano e terso. Si capisce, allora, che
l’accezione nella quale deve essere intesa la definizione di Paradiso terrestre è quella di Dante Alighieri, che colloca questo mitico luogo sulla
cima della montagna del Purgatorio. Qui giungono le anime che hanno scontato la pena temporanea e si avviano verso il Paradiso. Così, il grande
poeta descrive il luogo: «Vago già di cercar dentro e dintorno / la divina foresta spessa e viva, / ch’a li occhi temperava il novo giorno […] per
cui le fronde, tremolando, pronte / tutte quante piegavano a la parte […] tanto, che li augelletti per le cime / lasciasser d’operare ogne lor arte»
(Divina commedia, Purgatorio, XXVIII, 1-15).
Il primo a individuare il soggetto iconografico con precisione fu Ludwig von Baldass, in quello che oggi può considerarsi un classico della
letteratura, Hieronymus Bosch (questo il titolo), pubblicato nel 1960 dall’editore americano Abrams. Giustamente, lo studioso tedesco poneva l’opera
di Bosch in relazione con quella di Dirk Bouts, che rappresenta lo stesso soggetto ma con una differenza di cui diremo. Tuttavia, un altro grande
indagatore della pittura del grande olandese, Charles de Tolnay, nel suo monumentale studio (studio più volte pubblicato e aggiornato), notò la
presenza di un leone che sbrana un cerbiatto e, confondendo la tematica, lo considerò segno della corruzione successiva alla cacciata dei
progenitori dal Paradiso terrestre. In realtà, se si osserva con attenzione la tavola veneziana del pittore di ‘s-Hertogenbosch non si farà fatica a
rilevare che l’artista ha diviso con grande sapienza la composizione grazie alla diagonale del declivio boschivo.